Lo spettro della deflazione
Lo annuncia ufficialmente l’ISTAT: l’Italia è in deflazione. Non accadeva da cinquantasette anni. L’ultima volta, infatti, è stato nel 1959. La notizia rimbalza in tutte le testate nazionali. “Il Giornale” titola: «L’Italia del 2016: un anno in deflazione». Rai News titola: «Italia in deflazione non accadeva dal 1959». “Il Sole 24 Ore” titola: «Italia in deflazione nel 2016 non accadeva da 57 anni». Il “Corriere della Sera” titola: «Italia nel 2016 in deflazione, è la prima volta dal 1959». “La Repubblica” titola: «Giovanni Vecchi: “Siamo in deflazione come nel 1959, però il boom di allora è irripetibile”». Nonostante la grancassa mediatica, il dato incredibile che si registra è quello di un’indifferenza generale. Non solo della gente comune – e questo potrebbe anche essere comprensibile – ma soprattutto da parte della classe politica italiana.
Ma cosa significa deflazione? Cerchiamo di spiegarlo in termini semplici. Per deflazione si intende il calo generale dei prezzi. E’ il contrario dell’inflazione. L’Istat calcola questi due dati in base al monitoraggio dell’andamento dei prezzi del cosiddetto “paniere” – che viene aggiornato periodicamente -, in cui vengono inseriti diversi beni di largo consumo da monitorare, dagli alimenti alle automobili. Ciò che viene preso in considerazione ai fini del calcolo è la variazione dei prezzi complessivi del paniere in aumento (inflazione) o in diminuzione (deflazione).
L’idea che i prezzi dei beni di consumo diminuiscano potrebbe sembrare apparentemente una buona notizia. Ma, purtroppo, non è così. Vediamo di capire perché.
Il primo guaio che produce la deflazione è quello della riduzione dei consumi. Se si ingenera l’idea di un calo generalizzato e continuo dei prezzi, si verifica quasi automaticamente la tendenza a rinviare gli acquisti, soprattutto quelli più importanti, nella speranza di una sempre maggiore riduzione dei prezzi. Basti pensare al mercato immobiliare. Questo fenomeno ha come effetto una riduzione generalizzata dei consumi, che non rappresenta certo un aspetto positivo dal punto di vista economico.
Il secondo guaio che produce la deflazione si riverbera sui prestiti e mutui.
Il perché è presto detto. Le esposizioni debitorie contratte, ad esempio, con gli istituti di credito si aggravano, perché il cliente si troverà a dover restituire alla banca un debito di fatto maggiore di quello contratto in origine. Chi oggi paga la rata di un mutuo quindicinale, ad esempio, ha l’aspettativa che quella stessa rata tra cinque o dieci anni varrà meno perché, in condizioni normali, l’inflazione avrà fatto salire i prezzi e il livello dei salari. In presenza di deflazione, invece, il valore della rata tende a rimanere costante o, peggio, a salire. Questo innescherà in maniera inevitabile, tra l’altro, un circolo vizioso, perché gli istituti di credito vedranno pericolosamente aumentare la massa debitoria di clienti insolventi. E, quindi, crediti inesigibili.
Il terzo guaio che produce la deflazione riguarda le imprese.
I cali di consumi, infatti, portano come diretta conseguenza la riduzione degli introiti da parte delle imprese, che si vedranno costrette ad adottare le consuete misure in caso di crisi, ovvero a tagliare costi e personale dipendente. Circostanza, quest’ultima, che rischia di aggravare ulteriormente il circolo vizioso della deflazione, perché la presenza nel mercato di nuovi disoccupati, ovvero di consumatori senza potere d’acquisto, non potrà che aumentare il fenomeno del calo dei consumi.
Ma com’è che ci siamo ridotti così? Perché siamo arrivati alla deflazione come nel 1959? La spiegazione – al di la delle roboanti chiacchiere di economisti e politicanti – in realtà è molto semplice. I fattori sono due. Il primo è che la gente si è impoverita e quindi ha drasticamente ridotto la propria capacità di acquisto. Il secondo è che le imprese, pur di vendere, si sono viste costrette a diminuire drasticamente i prezzi. Tutto qui. Il fatto è che gli italiani, però, non possono più spendere perché non hanno più soldi, mentre i politicanti promettono di elargirne, o si illudono di farlo attraverso elemosine (vedi la “regalia” elettorale degli 80 euro), non rendendosi conto – o facendo finta di non rendersi conto – che il problema non è il denaro, ma la mancata produzione di ricchezza. E qual è la risposta politica a questo problema? Semplicemente nessuna. Nessuna strategia. Nessun piano. Nessun programma. Nessun progetto. Neppure la larva di un’idea.
L’importante è che la gente continui a non pensare e a farsi anestetizzare attraverso i consueti canali orwelliani di indottrinamento. Che il popolo non pensi alla deflazione – sembrano sogghignare dal Palazzo – ma guardi le trasmissioni di RAI 3 sulle felici coppie omosex e segua il Festival di Sanremo, applaudendo alla gioiosa notizia che Tiziano Ferro intende comprarsi un figlio.
Lui, almeno, i soldi per quell’acquisto ce li ha!
Gianfranco Amato