INVERTIAMO LA ROTTA!

C’era una volta il Festival!

C’era una volta il Festival della Canzone Italiana, più comunemente noto come Festival di Sanremo. Nata nel 1951 con l’intento di celebrare la musica italiana, questa longeva kermesse vive da qualche anno un inquietante crepuscolo. Si è trasformata, infatti, da gioioso evento nazionalpopolare a miserevole megafono della propaganda di regime. Anzi, pare sia divenuta uno dei canali d’indottrinamento preferiti della dittatura del Pensiero Unico. Il momento clou del brainwashing collettivo messo in atto dal Grande Fratello di orwelliana memoria.

Che ormai al Festival il tema non sia più la musica è cosa nota da anni. Da quando, in particolare, il cantautore Giuseppe Povia – già vincitore dell’edizione 2006 – osò sfidare il Pensiero Unico con la canzone “Luca era gay”. E poiché anche la nostra attuale dittatura ­- come tutte le dittature serie che si rispettino ­­­- riesce ad essere intollerante e violenta con tutti coloro che si permettono di dissentire, il nostro Povia è stato oscurato, ostracizzato, censurato, bandito per sempre dal Festival, condannato all’oblio. Al Potere, però, piace apparire magnanimo, e così al cantautore ribelle è stata offerta la possibilità di essere riabilitato. Era sufficiente un autodafé, una pubblica ammissione di colpa, un plateale pentimento per poter rientrare tranquillamente nei ranghi con un bel pezzo politicamente corretto! In fondo successo e soldi possono ben valere l’umiliazione di un pubblico “mea culpa”, quello che nei campi di rieducazione della Cina maoista si chiama jiǎntǎo ( ).

E, poi, in fondo il Potere ama i suoi “figlioli prodighi”. Ma Povia non è un servo né uno che può dare un prezzo alla sua libertà e alla sua dignità. Né tantomeno uno che possa prostituirsi per il successo e i soldi. Così, a testa alta, ha avuto il coraggio di respingere bellamente al mittente la proposta indecente che gli era stata formulata. Inevitabile e immediata la risposta: Damnatio memoriae. Povia non esiste più come artista per lo squallido mondo musicale asservito al regime, fatto di sedicenti cantanti e finti critici musicali, di ruffiani, lacchè, lustrascarpe, cortigiani e manutengoli, tutti rigorosamente proni verso il Potere e al soldo della dittatura.

Come fanno sorridere tutti i finti cantori della libertà, della non discriminazione, della tolleranza, del “love is love”, della democrazia, sul palcoscenico di un Festival i cui organizzatori continuano vergognosamente, edizione dopo edizione, a censurare l’unico cantautore davvero libero oggi in Italia. Che squallido spettacolo!

Da qualche anno, comunque, l’orwelliano Ministero dell’Amore ha deciso che il Festival di Sanremo debba essere la vetrina in cui sponsorizzare il sordido business dei bimbi in provetta per le coppie gay. Roba da Nuovo Mondo di Aldous Huxley, altro romanzo di fantascienza distopica che si sta rivelando tragicamente profetico.

Il “superospite” – ovvero il consueto testimonial prezzolato del Potere – della prossima 67ª edizione del Festival sarà, infatti, Tiziano Ferro, altro omosessuale dichiarato che si è preso la briga di farci conoscere la sua intenzione di diventare padre. Ovviamente non secondo le normali regole di natura – giacché la sola idea potrebbe procurargli un conato di disgusto – ma attraverso la pratica meno plebea della “gestazione di sostegno” (alias “utero in affitto”), ovvero il cinico, barbaro e abietto sfruttamento del corpo di due donne bisognose, per vile denaro. Oggi il Potere vuole sponsorizzare l’idea che chi non può avere un figlio per via naturale, ha semplicemente diritto di farlo produrre e di comprarselo. Sempre, ovviamente, che se lo possa permettere. Non è roba per tutti. Il volgo deve semplicemente applaudire, inneggiando all’amore, il ricco vip di turno che può concedersi il privilegio di spendere 136.000 euro per procurarsi un figlio. Non importa come. E non importa neppure se il vip si autoproclami “comunista” e difensore dei diritti del proletariato, come tale Nichi Vendola. Anzi, questa surreale beffa rappresenta un’ulteriore fonte di godimento per il Potere, che ama schermire il popolino, facendogli credere che opera per il suo bene, mentre lo manipola bellamente. Del resto, all’operaio cassaintegrato di Sesto San Giovanni che, a cinquant’anni, sa oramai di essere inesorabilmente destinato al licenziamento, devi pur concedere il sogno di pensare che Tiziano Ferro possa comprarsi un bimbo! «Panem et circenses» davano gli imperatori romani per tener buono il malcontento del popolino. Oggi che non c’è più «panem» per il popolo italiano, è rimasto solo il Circo.

Davvero, mai come oggi Orwell, Huxley, Benson, stanno tragicamente dimostrando di essere stati dei veri profeti. Lo dice anche il Papa, ma nessuno se lo fila.

Se il Festival della Canzone Italiana fosse una cosa seria dovrebbe vincere Giuseppe Povia. Ma essendo il suo nome impronunciabile nel Tempio televisivo del politically correct, ovviamente l’ipotesi di invitarlo non è stata nemmeno presa in considerazione. Del resto, come avrebbero potuto invitare, proprio in questa edizione, uno che ha scritto addirittura una canzone contro l’ignobile e scandaloso commercio dei bimbi in provetta, intitolata “Dobbiamo salvare l’innocenza”?

Povia vincerà il Festival di Sanremo, quando la dittatura sarà definitivamente abbattuta, la ragione ripristinata, la libertà riconquistata, l’innocenza salvata. Diamoci tutti da fare perché giunga presto quel momento, al grido di quello che deve diventare una parola d’ordine e un obiettivo:

«Invertiamo la rotta!».

Gianfranco Amato

 

 

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