Adesso che il Popolo della Famiglia, dopo aver raccolto 43.534 firme in tutta Italia, è ufficialmente un legittimo competitor della prossima tornata elettorale, la campagna denigratoria nei suoi confronti, da parte del fuoco amico e nemico, sembra accentuarsi.
Ora l’ultima accusa sarebbe quella di voler far vincere la sinistra.
Per cercare di far capire chi davvero nutre questa intenzione svelerò un piccolo retroscena.
Appena concluse le vacanze natalizie, l’8 gennaio 2018, alle ore 17.17, ricevetti una telefonata da Stefano Parisi. Un cordiale colloquio in cui il leader di Energie per l’Italia chiedeva delucidazioni sulla linea politica del Popolo della Famiglia, e prospettava possibili convergenze collaborative.
Le proposte sul piatto erano sempre quelle: scorciatoia per evitare la raccolta delle liste e apparentamento con il centrodestra.
Considerati i tempi della politica, la telefonata fu particolarmente lunga.
Parisi, che ho scoperto essere una persona intelligente, ha ascoltato attentamente il mio non breve ragionamento, interrompendomi solo poche volte con alcune rapide osservazioni sempre puntuali e mai fuori luogo. Merce rara per il comune livello culturale delle conversazioni da campagna elettorale che corrono in queste ore sui fili telefonici dei politicanti d’ogni schieramento.
Ho gentilmente declinato l’offerta della scorciatoia “alla Bonino”, spiegando che il Popolo della Famiglia ha deliberatamente accettato i rischi derivanti dall’improba e ardua impresa di raccogliere le firme per dimostrare che esiste un popolo territorialmente radicato in tutta la Penisola. Ho anche spiegato le ragioni per cui riteniamo inaccettabile qualunque apparentamento con la coalizione di centrodestra per quanto riguarda i collegi uninominali, non foss’altro che per l’assoluta incompatibilità con i traditori del Family Day presenti nella cosiddetta “quarta gamba”.
Parisi ha perfettamente capito.
Ha anche aggiunto che al posto nostro avrebbe fatto la stessa cosa. Ho l’impressione – ma è solo un’impressione personale – che nel manifestare la sua comprensione della nostra scelta emergesse un pizzico di sana invidia.
In quella telefonata post natalizia preannunciai a Parisi l’inevitabile esito negativo delle trattative che egli stava intavolando con Berlusconi. Ne avevamo già parlato tempo prima con Mario Adinolfi, il quale, com’è noto, è dotato di un incredibile dono di preveggenza in politica.
Fu lui, infatti, ad anticiparmi che Parisi sarebbe stato tenuto sulla graticola da Berlusconi fino al 25 gennaio, per poi essere brutalmente scaricato. Motivo: Parisi non poteva essere funzionale alla logica delle “larghe intese” tra destra e sinistra, quindi l’alternativa che gli rimaneva era quella di adeguarsi al sistema, accontentandosi di uno strapuntino, oppure di far saltare il banco giocando la carta della corsa in solitaria contro il centrodestra. Ma per fare questo, mi disse il preveggente Mario, «ci vogliono le palle». Un’espressione cruda ma assai efficace.
Per questi motivi non mi sono meravigliato quando, il 20 gennaio, su “Libero” ho letto l’articolo intitolato Silvio Berlusconi, la decisione definitiva: Stefano Parisi fuori dalla coalizione di centrodestra. Nell’articolo si dava notizia di uno stringato comunicato diramato dallo stesso Parisi:
«Questa sera abbiamo depositato il simbolo al ministero dell’Interno. Energie per l’Italia correrà fuori dalla coalizione di centrodestra alle prossime elezioni politiche».
Il giorno successivo, 21 gennaio, “Libero” pubblicava lo sfogo del leader di Energie per l’Italia contenuto in un articolo intitolato Silvio Berlusconi, la pugnalata di Stefano Parisi: «Ha in testa le larghe intese». Parisi in quel suo sfogo non le manda a dire: «È uno strappo molto grave. Hanno scelto di fare l’accordo con i vecchi partiti, con gli stessi che chiamavano traditori», riferendosi agli impresentabili della cosiddetta “quarta gamba”. E ha aggiunto: «Probabilmente servono parlamentari disponibili a una grande coalizione e a sostenere un governo con la sinistra; del resto, chi ha governato con loro fino a oggi? Noi vogliamo un governo alternativo alla sinistra».
Confesso che per un attimo ho provato persino una certa ammirazione per Parisi.
Poi, però, è scattata l’opzione Adinolfi, quella relativa agli attributi virili.
Qualcuno deve aver avvertito Parisi che forse non gli conveniva disturbare il manovratore e mettersi contro il sistema, e lo ha indotto a spegnere prudentemente le tre lampadine del suo movimento.
Così ha accettato di togliere le castagne dal fuoco del centrodestra nella delicata partita a scacchi dell’elezione regionale del Lazio, immolandosi nella corsa perdente alla carica di governatore.
Stefano Parisi non è uno dei tanti questuanti che hanno bisogno di mendicare posti. Non è uno che andrebbe mai a supplicare col cappello in mano qualche scranno alla corte del Re Sole. Lo spessore culturale, il prestigio sociale di cui gode e anche un pizzico di orgoglio personale gli impediscono di mettersi in fila alla coda dei pezzenti.
Se ha sacrificato il suo movimento politico – che qualche fastidio avrebbe potuto dare alla logica del “Grande Inciucio” tra destra e sinistra – è perché non ha potuto o saputo dire di no.
Peccato.
Oggi è rimasto solo Il Popolo della Famiglia a tentare di far saltare lo scellerato patto trasversale che si profila all’orizzonte e che ha come conseguenza pratica quella di riportare la sinistra al governo, anche se con l’alibi e la maschera della “responsabilità nazionale” e delle “larghe intese”.
Sveglia, italiani!
Oggi chi vuole riportare Renzi e il PD al governo, anche se pro-quota, è proprio Berlusconi insieme ai suoi alleati.
Parola di Stefano Parisi.
Fidatevi di uno che ha toccato con mano questa amara verità e che ha avuto il coraggio di dichiararla pubblicamente.
Gianfranco Amato