Quando ho dato un’occhiata ai nominativi dei “big” disseminati nei vari collegi elettorali sono stato pervaso da una strana sensazione che mi ha vagamente ricordato il concetto mussoliniano di “non belligeranza”. Ad un politico particolarmente forte del PD veniva contrapposto un politico particolarmente debole di Forza Italia. E viceversa.
Tutto è diventato molto più chiaro quando ho letto un editoriale pubblicato sul prestigioso “Huffington Post”, firmato dal vicedirettore in persona Alessandro De Angelis. Titolo inequivocabile: La desistenza. Quella strana aria attorno alle liste di Forza Italia. Il sottotitolo ancora più chiaro: Carneadi nelle sfide chiave col Pd, qualche miss e attenzione agli “impresentabili”. Le liste per le larghe intese di Silvio il tranquillizzatore.
L’incipit dell’articolo non lascia dubbi: «C’è una strana aria di “detente”, direbbero gli anglosassoni, ovvero di desistenza, attorno alle liste di Forza Italia. Desistenza nei confronti del Pd, in alcune sfide chiave. E più in generale un clima poco competitivo nei confronti del Pd: un “non facciamoci del male” oggi, in vista di un eventuale Nazareno domani».
Secondo Alessandro De Angelis, Berlusconi ha deciso di candidare contro i leader della sinistra solo degli innocui carneadi. E fa anche qualche esempio: «Contro Paolo Gentiloni, al collegio di Roma 1, sarà candidato, in quota quarta gamba Luciano Ciocchetti», che «non è propriamente classificabile nella casella dei big che impensieriscono». Beh, in effetti se consideriamo che l’alternativa doveva essere la più preoccupante Paola Binetti, ha ragione De Angelis quando dice che «è difficile non vedere nella scelta un modo per sdrammatizzare il conflitto in generale, ma anche un modo per tutelare l’integrità del premier uscente in vista del dopo, quel “Gentiloni dopo Gentiloni” per cui tifa apertamente l’azienda e, diciamoci la verità, gran parte del mondo berlusconiano». Contro Renzi a Firenze, il collegio è in quota Lega, e sarà candidato l’economista “no euro” Claudio Borghi. Contro “l’amico Pier” a Bologna, invece, Forza Italia ha indicato una signora dal nome Elisabetta Brunelli. Ha ancora ragione De Angelis quando dice che «sono sfide che non hanno neanche un decimo del pathos rispetto a quelle che, negli stessi collegi, vanno in scena a sinistra».
Sempre in quell’interessante articolo il vicedirettore aggiunge una significativa considerazione su Pierferdinando Casini: «Nell’ambito di questo clima in cui è tutelato il presidente uscente della commissione banche, rientra l’esclusione, inaspettata, dalle liste del Lazio di Andrea Augello, il grande accusatore della Boschi in commissione e regista dell’audizione di Ghizzoni». «Una esclusione ancora tutta da raccontare», continua De Angelis, «perché c’è qualcosa che non torna; Augello, fino a venerdì, era certo di essere “dentro”, stava raccogliendo firme, aveva garanzie, essendo uno dei principali portatori di voti nel Lazio, e non da oggi. Poi, d’un tratto, il tratto di penna che lo ha depennato». In effetti si tratta di un siluramento davvero incomprensibile: Augello è un parlamentare di peso che si può far fuori solo con motivazioni particolarmente fondate. E se consideriamo che nel Lazio le liste sono compilate dal duo Antonio Tajani e Lorenzo Cesa, il quale è riuscito a candidare persino il suo segretario a Velletri, diventa ancora più incomprensibile la scelta operata su Augello. Pare, oltretutto, che al tavolo delle liste in difesa dello stesso Augello si fossero persino schierati i due capigruppo, Paolo Romani e Renato Brunetta. E allora? «A pensar male si fa peccato, ma certe volte ci si indovina», scrive De Angelis. Come si vede, dunque, la lettura della vicenda Augello non era frutto del solito «complottismo adinolfiano», denunciato da qualche nostro solito amico.
Il vicedirettore di “Huffington Post” aggiunge un’ulteriore considerazione sul caso, intravvedendo nell’operazione «un chiaro segnale nazarenico, arrivato da “più in alto di Tajani”, perché così come sono stati normalizzati i gruppi del Pd, trasformato in partito di Renzi, una speculare operazione è in atto in Forza Italia». E, se guardiamo bene, in effetti De Angelis non ha tutti i torti. Nelle liste del Cavaliere si trova un bel po’ di azienda da Galliani a Mulé, fino a Pasquale Cannatelli (vicepresidente di Fininvest), e tutto l’apparato politico comunicativo di Arcore, da Giacomoni a Licia Ronzulli, fino a Valentino Valentini. Tutti gli uomini del Presidente, verrebbe da dire parafrando il celebre film di Alan Pakula (1976) con i mitici Dustin Hoffman e Robert Redford.
No, De Angelis è convinto che si vada decisamente verso la grande coalizione: «Liste normali, senza tanto nuovo che avanza, senza picchi, grande fantasia, anzi anche un po’ mediocri, perfette per le larghe intese». Sì, proprio così, perfette per le larghe intese e «per quel ruolo di tranquillizzatore, moderato ed europeista che il vecchio Silvio ha scelto di interpretare». In verità, il vicedirettore diventa un po’ caustico quando afferma che «neanche gli “impresentabili” sono quelli di una volta, ai tempi di Dell’Utri e Cosentino, Verdini, i “mostri”, la cui influenza politica era direttamente proporzionale alla pesantezza delle accuse giudiziarie».
Insomma, stiamo andando dritti dritti verso la riedizione del Patto del Nazareno a livello governativo, verso il ritorno del renzismo al potere, verso lo sciagurato trasversalismo avaloriale, verso l’incubo del Family Day, ossia il binomio Bongiorno-Cirinnà, con la connivenza, la complicità e forse la bonomia degli altri elementi “populisti” del centro destra. Per loro garantisce “nonno” Silvio a Bruxelles: Matteo e Giorgia sono ragazzi un po’ scalmanati ma alla fine ragionevoli.
Unica forza politica rimasta nell’agone a denunciare la vergogna del Grande Inciucio è il Popolo della Famiglia. L’articolo di “Huffington Post” dimostra che le «larghe intese» sono ormai un’evidenza fattuale. Tutto è dichiarato pubblicamente. Tutto è dimostrato per tabulas.
Tutto è candidamente svelato. Ma tutti sembrano ignorare, e nessuno dice niente. Soprattutto i cattolici del “voto utile”.
È davvero un mistero.
Gianfranco Amato