Una domenica al Fornelli di Bari

Una domenica al Fornelli di Bari

Ho trascorso una domenica mattina presso il carcere minorile di Bari, per scambiare due chiacchiere con i ragazzi che vivono in quella difficile realtà. L’invito mi è stato rivolto dai volontari dell’Associazione Papa Giovanni XXIII di Andria. Santa Messa alle ore 10.00 presso la cappella del carcere insieme ai giovani detenuti, e poi in cortile per parlare con loro durante l’ora d’aria. L’Istituto di pena minorile Fornelli di Bari è una struttura che si può definire d’eccellenza per lo standard dei penitenziari italiani, e che ha la fortuna di essere amministrata da un ottimo direttore.

Ho trascorso due ore in quella struttura parlando coi ragazzi e ascoltando quello che avevano da dirmi. Ho conosciuto storie di vite spezzate, di dolore, di violenza, di emarginazione, di abbandono. E tutte avevano un unico drammatico comune denominatore: una famiglia distrutta alle spalle.

Ogni singolo naufragio esistenziale che traspariva dai quei volti già segnati nonostante la giovane età derivava da un fallimento familiare. Sono davvero inimmaginabili i frutti velenosi che riesce a produrre la rottura di un rapporto di coppia tra un uomo e una donna rispetto ai figli. Ed è triste che oggi una società egoista e una politica distratta non si rendano conto dell’importanza che ha la famiglia anche sotto questo profilo. Quando si spezzano i legami familiari si genera sempre violenza. Violenza nell’anima e, a volte, violenza fisica. O, addirittura, violenza sociale, come nel caso dei giovani detenuti del Fornelli.

In realtà ho notato un ulteriore elemento comune tra le povere vite di quei ragazzi: l’assenza di un padre. Pressoché tutte le loro storie sembravano caratterizzate da questa mancanza. L’ho notato, in particolare, quando parlavo loro con molta semplicità ma in maniera che essi percepivano in qualche modo autorevole. Mi pareva stessero ascoltando la voce di quel padre che non hanno mai avuto o che non ha mai parlato loro in quel modo. Dalle storie di quei ragazzi traspariva evidente tanto lo stretto legame che avevano con la propria madre, quanto la devastante assenza di una figura maschile di riferimento. E anche questa osservazione dovrebbe servire da monito per tutti i deliranti discorsi che ci vengono oggi propinati sulla cosiddetta “omogenitorialità”, ovvero quell’idea farneticante che propugna la totale indifferenza dei sessi per quanto riguarda il ruolo dei genitori, e che arriva a negare l’evidenza oggettiva di un dato di natura. Padre e madre, uomo e donna, maschio e femmina non sono figure intercambiabili, o disgiungibili. Mai come nella funzione educativa la complementarietà dei sessi assume un rilievo fondamentale. Due padri o due madri non potranno mai essere una coppia da questo punto di vista.

L’altro dolente tratto comune di quelle fragili esistenze smarrite è l’epilogo praticamente scontato del fine pena. E’ quasi sempre un arrivederci. Non esiste di fatto un vero e proprio reinserimento nella vita civile. Mi raccontavano i meravigliosi volontari dell’Associazione Papa Giovanni XXIII che dal 1990 sono stati soltanto due i casi di ragazzi recuperati dalla comunità. Per tutti gli altri i cancelli del carcere sembrano essere delle porte girevoli. Se non fosse per l’unico vero motivo che spinge quei volontari – ossia l’amore per Cristo – la loro attività, in termini umani, non avrebbe molto senso e, guardando ai risultati, si dovrebbe definire più inutile che fallimentare. Mentre lo Stato, da parte sua, semplicemente latita.

Ci sarebbe da chiedersi che fine abbia fatto il principio costituzionale della funzione rieducativa della pena. Chissà se un giorno potremo avere la fortuna di vedere in Italia una classe politica – degna di questo nome – capace di dare finalmente una reale e concreta attuazione a quel principio che i costituenti si illusero di introdurre nel nostro ordinamento giuridico attraverso l’inserimento dell’art.27 della Carta Costituzionale. Almeno per quei poveri ragazzi del Fornelli, che hanno diritto ad un futuro di speranza fuori dalla trappola infernale in cui sono caduti.

Sciagurato quel Paese che si disinteressa del destino dei propri figli!

Gianfranco Amato