Pavia: fatta la legge, comprato il bambino
Il desiderio di genitorialità delle coppie omosessuali non conosce confini. Neppure quelli del codice penale.
L’ultima frontiera della sfida contro la natura arriva da Pavia. Un avvocato gay trentottenne e il suo partner, non volendosi rassegnare all’irrefragabile fatto di essere una “coppia” sterile per natura, hanno escogitato un machiavellico “intrigue a trois” per procurarsi un figlio. Siamo oltre l’ormai banale pratica dell’utero in affitto. La ricetta escogitata dal legale pavese è la seguente: ci si procura una ragazza incinta, possibilmente non italiana (nel caso specifico si trattava di un’albanese), la si sposa, e le si danno settantamila euro quale benservito. La ragazza toglie il disturbo tornandosene in Albania, l’omosessuale si tiene il figlio non suo.
L’intrigo sarebbe funzionato – e, ahimè, chissà in quanti casi già oggi funziona – se non fosse stato per alcune mosse incaute del nostro legale. Un eccesso di sicurezza o una mancanza di lucidità dovuta al coinvolgimento emotivo. Sta di fatto che l’hanno beccato. Dove ha sbagliato? Prima di tutto Pavia non è New York. Tutti sapevano nella cittadina lombarda della sua omosessualità, ma era soprattutto noto il suo rapporto pubblico con il compagno. Per cui quando il nostro legale si è recato in Comune per contrarre matrimonio con la sconosciuta albanese incinta, qualcuno ha cominciato a intuire che qualcosina non quadrasse in quella inaspettata unione eterosessuale.
Poi si sa, il Paese è piccolo e la gente mormora. Così quando a gennaio del 2016 l’avvocato torna negli uffici comunali dell’anagrafe per registrare il bambino appena partorito dalla moglie albanese, un funzionario storce il naso e avvisa la polizia. Poi, il terzo errore fatale. Nella sua bacheca Facebook personale l’avvocato posta una foto che ritrae lui, il compagno e il bambino. Tutti sorridenti. Della madre biologica, però, neppure l’ombra. La Digos conclude le indagini con il test del Dna, il quale conferma come il bambino non sia figlio biologico dell’avvocato gay. E la Procura della Repubblica chiede il rinvio a giudizio di tutti e tre i protagonisti dell’intrigo, per il reato di alterazione di stato.
Il nostro ordinamento giuridico, infatti, non contempla il reato di “compravendita di bambini”, delitto che, vista l’escalation della richiesta di figli tra le coppie gay senza scrupoli, prima o poi dovrà essere inserito nel codice penale. Nel frattempo il piccolo, insieme alla madre, è stato affidato ad una comunità protetta.
Siamo sicuri che in caso di processo i due omosessuali troveranno un giudice comprensivo e rigorosamente gay friendly, il quale, pur non potendo assolverli, riconoscerà loro l’attenuante del “desiderio di genitorialità”. Del resto, la natura è stata ingenerosa con loro, avendogli precluso fisicamente ogni possibilità di procreazione. E, poi, vi è ormai un principio giurisprudenziale pacifico e consolidato: Love is love! A proposito dell’unica vera vittima di questa tragicommedia, ossia il bambino, possiamo solo sperare che, dopo essere scampato dal pericolo di finire comprato da una coppia gay, venga definitivamente sottratto alla madre e affidato ad una famiglia vera.
Una famiglia fatta da un papà che non lo desideri come oggetto da acquistare e da una mamma che non sia disposta a venderlo.
Gianfranco Amato