L’ultimo Natale di George

L’ultimo Natale di George

Morire a cinquant’anni, soli e disperati, il giorno di Natale.

E’ la più triste e deprimente delle fini che uno possa immaginare. Un quadro da sceneggiatura dickensiana. Ed è quello che è successo a George Michael stroncato probabilmente da un’overdose di eroina. Quasi un macabro scherzo per uno che deve il suo successo anche al celeberrimo pezzo intitolato “Last Christmas”. Questo è stato davvero, per lui, il suo ultimo Natale.

La star che si è spenta, in realtà ha sempre ambito a coniugare successo ed eccesso. Alcol, droga, sesso occasionale con ragazzi, omosessualità, sono stati per George il mezzo migliore per precipitare verso l’abisso e toccare il fondo. Ha voluto essere l’icona del depravato. E ci è riuscito.

Nel 2007, in un momento di disarmante sincerità, lui stesso aveva raccontato di aver trascorso i precedenti vent’anni a distruggere la sua brillante carriera, attraverso una serie di scandali sessuali e l’abuso di stupefacenti. Amava anche raccontare di essere arrivato a fumare, in alcuni momenti della carriera, quantità industriali di marijuana, fino a venticinque canne al giorno. E qualcuno ricorda come nel 2008 sia stato arrestato mentre fumava crack in un bagno pubblico. Nel 2010 aveva trascorso otto settimane in carcere perché con l’auto era finito contro un negozio nel nord di Londra, sotto l’effetto della “innocente” cannabis. Tre anni prima era stato ritrovato addormentato nella sua Mercedes e, dopo aver ammesso di fare uso di stupefacenti, aveva evitato la prigione grazie a cento ore di lavoro ai servizi sociali. In un’intervista a Piers Morgan, invece, si era vantato di un poco lodevole primato: cinquecento partner diversi in sette anni.

La cugina di George, Jackie Georgiuou, in un’intervista rilasciata al “Daily Mail” lo scorso 13 luglio, raccontava come fosse preoccupata per lui, ridotto orami quasi ad una larva: «C’erano feste alle quali George collassava sul pavimento e dovevano portarlo via sporco del suo stesso vomito, cose terribili; era diventato molto magro e molto malato». «È per colpa del crack, della marijuana, dell’alcol e della cocaina», raccontava sempre la cugina in quell’intervista, «se si è ridotto così», perché «lui tende alla dipendenza e ama il rischio; non ha problemi a farsi una dose in un cespuglio o nei parchi pubblici». E concludeva, sconsolata: «Ecco a cosa lo hanno portato i ragazzi che affittava per le sue notti di sesso».

La morte di George, però, ha fatto emergere anche qualche luce nascosta nella sua travagliata esistenza. Si è scoperto, infatti, come avesse un animo generoso e persino filantropico. Non solo per le donazioni anonime (e quindi genuine) che ha fatto per migliaia di sterline ad enti di beneficenza e carità, ma anche per diversi episodi di aiuto concreto, che vanno dall’aver salvato la vita di una donna, grazie alla donazione delle quindicimila sterline necessarie per un trattamento sanitario dal quale dipendeva la sua sopravvivenza, fino alle cinquemila sterline donate ad uno studente per pagare il suo debito di studio. E’ emerso anche un segreto che George aveva sempre gelosamente custodito: quello di aver prestato servizio come volontario in una casa di accoglienza per homeless, senza farsi riconoscere. Anonimo tra i barboni, per servirli.

Questa vicenda umana di George Michael ci rivela ancora una volta come davvero il cuore dell’uomo sia un mistero imperscrutabile. Aveva ragione quel genio di Sant’Agostino, quando nelle sue Confessioni (IV,4,9 e 14,22) scriveva che l’uomo è «un grande enigma» (magna quaestio) e «un grande abisso» (grande profundum), enigma e abisso che solo Cristo illumina e salva.

Il cuore dell’uomo è un mistero imperscrutabile. Ed è per questo che solo Dio può giudicarlo.

Noi, che facciamo fatica a conoscere il nostro cuore, come potremmo mai giudicare il cuore di uno sconosciuto? In questo ha ragione Papa Francesco. Chi siamo noi per giudicare il cuore personale di un singolo peccatore? Impossibile. Ma questo non ci può esimere dal giudicare il peccato. Anzi, l’amore per la Verità e per l’uomo, ci impone di giudicare il modello esistenziale errato che George ha scelto per la sua vita. E’ per amore all’uomo (ricordiamo che ammonire i peccatori è un’opera di misericordia) che abbiamo il dovere di proclamare con forza come l’abuso di alcol e stupefacenti, il ricorso al sesso occasionale e l’omosessualità sono forme illusorie di una falsa libertà che porta alla disperazione e, in alcuni casi, alla morte. Un tragico inganno, l’ utopica e disperata ricerca di un surrogato di felicità artificiale, inevitabilmente destinata a deludere. Proporre come modello un uomo lontano da Dio è una tragica menzogna, perché – come ricordava il grande Benedetto XVI –

«un uomo che è lontano da Dio è anche lontano da sé, alienato da se stesso, e può ritrovare se stesso solo incontrandosi con Dio», solo così può «arrivare anche a sé, al suo vero io, alla sua vera identità».

Ora anche George si è presentato «τῷ βήματι τοῦ θεοῦ», davanti a quello che San Paolo chiamava il Tribunale di Dio (Rm. 14,10). Si è presentato, non come la pop star George Michel, ma come Georgios Kyriacos Panayiotou, il suo vero nome. Non ha portato niente con sè da questo mondo, se non una valigia ripiena di tutte le opere buone e di tutte quelle malvagie che ha compiuto durante la sua esistenza. Toccherà a Dio valutare quali prevarranno per la sua salvezza eterna. A noi non resta che pregare per questa povera anima, affinché il Padre Eterno riesca a scovare tra il bene che George ha fatto in vita qualcosa che possa riscattare il tanto male che ha commesso a sé e agli altri. Requiescat in pace!

 

Gianfranco Amato