I Romani, che si intendevano di leggi e diritto, si ispiravano ad un sano principio: «leges non sunt multiplicandae sine necessitate». Occorre sempre evitare quel deprecabile fenomeno che va sotto il nome di inflazione legislativa, piaga endemica dell’ordinamento giuridico italiano. Non è un caso, come ricordava il giurista francese Jacques Chevallier che, ad esempio, negli Stati Uniti – Paese che non conosce quel fenomeno italico – «le norme devono essere valutate in funzione di tre principi: devono essere varate solo in caso di necessità; bisogna privilegiare, nella misura del possibile, altre forme meno vincolanti; ogni nuova normativa deve basarsi su un rapporto costi/benefici chiaramente definito».
Se non si utilizzano questi metodi, il rischio è che si legiferi sull’onda dell’emozione o, peggio, della spinta ideologica, creando pasticci giuridici indigeribili e addirittura incostituzionali.
E’ quello che sta accadendo con la proposta di legge regionale umbra «contro le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere», un classico esempio di provvedimento normativo ideologico, inutile, incostituzionale, destinato a fare scuola.
La pericolosità – anche sotto il profilo della tutela dei diritti costituzionali – di questa nuova trovata ideologica della Regione Umbria, si è resa palesemente evidente quando il consigliere del PD Andrea Smacchi ha osato presentare un emendamento all’art. 1 della stessa proposta di legge, dal seguente tenore: «Non costituiscono discriminazione, violenza, istigazione alla discriminazione o istigazione alla violenza – è scritto nell’emendamento – il manifestare liberamente il proprio pensiero, le proprie opinioni o i propri convincimenti riconducibili al pluralismo di idee, né attuare condotte conformi al diritto vigente o ai principi e valori di organizzazioni riconosciute dall’ordinamento giuridico, che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione, di religione o di culto». Un emendamento scritto, come precisa lo stesso consigliere Smacchi, per «ribadire l’alto principio costituzionale della libertà di manifestare il proprio pensiero e di attuare attività conformi ai valori di organizzazioni giuridicamente legittime».
Apriti cielo!
Il primo a strillare è Stefano Bucaioni, presidente dell’associazione omosessualista Omphalos, il quale definisce la proposta del consigliere piddino «un emendamento salva-omofobi che ricalca esattamente quello che nel 2013 ha affossato la legge nazionale contro l’omofobia in discussione in parlamento, rendendola inutile e pericolosa e bloccandone definitivamente l’iter». Lo stesso Bucaioni parla di una «scelta folle e irresponsabile» destinata a dare vita ad «una sorta di salvacondotto per gli omofobi di turno perché mira a legittimare di fatto le discriminazioni in molti ambiti, creando eccezioni ad hoc tutelate addirittura dalla legge». Sempre secondo Bucaioni «con questa assurda proposta, nella regione Umbria, gli ospedali, le scuole, i luoghi di culto e le associazioni potranno essere zone franche per il pensiero discriminatorio».
La stessa associazione Omphalos ha deciso di organizzare un presidio da domani martedì 28 marzo, di fronte alla sede del Consiglio regionale chiedere l’approvazione della legge, «affinché questi folli tentativi di affossare la legge siano isolati con forza». Protesta accompagnata da una minaccia: «Vogliamo essere chiari sin da subito se questo emendamento dovesse essere approvato, per noi non esisterebbe più nessuna legge contro l’omofobia e la transfobia e chiederemo immediatamente ai proponenti di ritirarla o all’aula di bocciarla».
Sulla vicenda è intervenuto persino il Segretario nazionale Arcigay Gabriele Piazzoni con parole inequivocabili: «La vicenda della legge regionale è emblematica per tutto il paese. Emblematica perché racconta di un testo di legge attraverso il quale un’articolazione dello Stato si fa carico del tema dei crimini d’odio, producendo azioni di prevenzione e tutela delle vittime, e che per un decennio, attraversando maggioranze di colore diverso, non ha mai raggiunto il via libera dell’aula. Questi dieci anni sono la rappresentazione evidente del pantano di inconcludenza in cui in Italia finiscono questioni di primaria importanza, come il contrasto alla violenza e la tutela dei gruppi sociali verso i quali quella violenza si scaglia. Tante parole, nessun fatto». Segue minaccia: «Martedì tutta la nostra attenzione sarà puntata su quell’aula: i partiti sono chiamati a tradurre finalmente le parole in fatti, martedì capiremo se ne sono all’altezza».
Non poteva, poi, mancare la voce di colei che si è autoproclamata paladina di tutti i diritti LBGT, l’ineffabile senatrice Monica Cirinnà, la quale non perde occasione per strizzare strumentalmente l’occhiolino a quel mondo dal quale si illude di poter lucrare un vantaggio in termini di consenso elettorale. In una nota firmata insieme alla collega senatrice Valeria Cardinale – anche lei a caccia di visibilità – l’emendamento del consigliere Smacchi viene definito «semplicemente irricevibile».
Per le due senatrici, infatti, non è possibile «consentire che l’Umbria, da sempre terra all’avanguardia in tema di diritti, di accoglienza e di inclusione, sprofondi nell’oscurantismo», e per questo mandano un pizzino al povero Smacchi, nel quale gli intimano di «avere il buon senso di ritirare l’emendamento». Intelligenti pauca, dicevano i Romani.
E sì, a buon intenditor, poche parole.
I Socialdem di Gubbio sono stati i più duri contro il povero Smacchi. Hanno parlato addirittura di «squallido tentativo di affossare, tramite un emendamento infame a firma di un esponente del PD l’approvazione della legge regionale contro l’omo-trans fobia».
La reazione stizzita e isterica tradisce il retropensiero di questi pseudo “democratici”.
Ora, ditemi voi, come si fa a definire «squallido e infame» il diritto a «manifestare liberamente il proprio pensiero, le proprie opinioni o i propri convincimenti riconducibili al pluralismo di idee, né attuare condotte conformi al diritto vigente o ai principi e valori di organizzazioni riconosciute dall’ordinamento giuridico, che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione, di religione o di culto».
SI può arrivare a tanto solo se non si comprendono concetti come «libertà di pensiero», «pluralismo delle idee», «libertà di religione e di culto», eccetera, eccetera.
A tutti questi signori che pretendono di rivendicare un’asserita loro libertà a discapito della libertà dei più, raccomandiamo una ripassatina agli articoli 19 e 21 della Costituzione.
Se li leggessero saremmo tutti un pochino più tranquilli.
Gianfranco Amato