Non mi piace rivestire il ruolo del guastafeste, soprattutto con gli amici.
Esiste, però, un limite alla decenza. E quando questo viene superato, l’amore per la verità impone di non tacere.
Abbiamo assistito allo slancio convinto con cui il “Comitato Difendiamo i Nostri Figli” ha appoggiato in Sicilia la candidatura di Nello Musumeci alla presidenza della regione. Massimo Gandolfini, portavoce del Comitato, ha partecipato in qualità di relatore al convegno intitolato “Accendiamo il futuro – Insieme per la famiglia”, tenutosi a Catania il 22 ottobre 2017. Gli altri due relatori erano lo stesso Musumeci ed il senatore Quagliariello. In quell’occasione Gandolfini non usò mezzi termini per esprimere il pieno e convinto sostegno del Comitato: «Oggi siamo in Sicilia per sostenere un candidato, Nello Musumeci, che firma un manifesto che lo impegna nella difesa dei valori antropologici della famiglia, della vita, della libertà educativa e del diritto dei bambini a non essere programmati fin dal concepimento orfani di padre o di madre». Precisò anche che quella manifestazione rappresentava «la prima tappa di un impegno che si protrarrà per tutta la campagna elettorale e che vedrà il Comitato a fianco di coloro che sono disposti a tutelare i nostri principi non negoziabili».
Musumeci ha poi vinto le elezioni ed è stato nominato Presidente della Regione Sicilia.
Una volta insediatosi, si è premurato di nominare la squadra di governo.
E qui qualcosa non torna.
Sì, perché l’Assessorato alla Famiglia – delega simbolicamente importante per il popolo del Family Day – Musumeci l’ha affidato ad una donna: Mariella Ippolito.
Non si tratta proprio di una Carneade del mondo politico siciliano.
Nel 2013, infatti, Mariella Ippolito si è candidata alle elezioni politiche con la lista “Rivoluzione Civile” del magistrato militante di sinistra Antonio Ingroia.
Basta un’occhiata su Wikipedia per capire l’identità valoriale di quel movimento. Alla voce «ideologia» si legge: «Legalitarismo, socialismo democratico, ambientalismo, ecosocialismo, comunismo, laicismo, eurocomunismo, pacifismo». Alla voce «collocazione» si legge: «Sinistra».
Non pare sussistano dubbi per capire dove si collochi politicamente. D’altronde, basta ripercorrerne un po’ la storia per capire di cosa si tratta. Il 17 dicembre 2012 Antonio Ingroia, Luigi De Magistris, Orazio Licandro (PdCI) e Leoluca Orlando (IdV) lanciarono il manifesto “Io ci sto”, una piattaforma programmatica in dieci punti da presentare al Partito Democratico per entrare nell’alleanza di centrosinistra. Quel manifesto venne firmato, tra gli altri, anche da Franco Battiato, Fiorella Mannoia, Milly Moratti, Massimiliano Bruno, Max Paiella, Sabina Guzzanti, Vauro, Enrico Fierro.
Fallita ogni trattativa col centrosinistra, il 29 dicembre dello stesso anno, i promotori di “Io ci sto” andarono avanti autonomamente e lanciarono il cartello Rivoluzione Civile, al quale aderì subito, oltre a Italia dei Valori, Partito dei Comunisti Italiani, Movimento Arancione, il Nuovo Partito d’Azione e anche Rifondazione Comunista. Ingroia, in particolare, annunciò l’intenzione definitiva di candidarsi come leader della lista e ne svelò il simbolo. Il 5 gennaio 2013 anche la Federazione dei Verdi aderì alla lista. Il 10 gennaio 2013 Rivoluzione Civile venne costituita ufficialmente presso un notaio di Roma.
Tra i famosi «dieci punti programmatici minimi irrinunciabili» di Rivoluzione Civile c’è anche il penultimo (9), che recita testualmente: «No ad ogni forma di discriminazione e di razzismo (e alle leggi che ne sono espressione, a cominciare dalla Bossi-Fini). Sì al pieno riconoscimento dei diritti civili degli individui e delle coppie a prescindere dal genere, a una cultura delle differenze, a politiche migratorie accoglienti e all’accesso alla cittadinanza per tutti i nati in Italia». Diritti civili delle coppie a prescindere dal genere significa, in buona sostanza, “Legge Cirinnà”. Sì, proprio quella contro la quale fu organizzata la grande manifestazione del Family Day tenutasi il 30 gennaio 2016 al Circo Massimo.
Ora, tornando alla Sicilia, quando Mariella Ippolito si candidò con Rivoluzione Civile sottoscrisse convintamente i dieci punti del programma, compreso, evidentemente, anche il punto n. 9. Nel periodo della campagna elettorale per le politiche del 2013, nelle interviste che rilasciava, la nostra Mariella si dichiarava anti-berlusconiana e votata alla battaglia dei “diritti civili”. A chi le domandava perché non fosse approdata nel MoVimento 5 Stelle, rispondeva così: «Sono d’accordo su moltissimi punti con il movimento di Grillo, che è di protesta e alternativo a Berlusconi e Monti; la differenza tra noi e loro consiste nel fatto che il M5S è di critica e scarsamente propositivo, mentre Rivoluzione Civile ha un programma chiaro, che si ispira alla Costituzione e affronta dieci punti programmatici. E poi, personalmente, io mi fido più di un magistrato che di un comico».
Ora, non risultano, da parte di Mariella Ippolito, “abiure”, pubbliche dichiarazioni di pentimento, annunci di “conversioni”, o prese di distanza ufficiali dalle sue precedenti posizioni. Se in politica la coerenza rappresenta ancora una virtù, dobbiamo ritenere Mariella persona seria e quindi ancora coerente rispetto al suo impegno politico per le elezioni del 2013.
Possiamo solo dire che da un uomo come Nello Musumeci, proveniente dall’ex Movimento Sociale Italiano di Giorgio Almirante, forse ci saremmo aspettati una scelta diversa per un assessorato delicato qual è quello della famiglia. Ma non stupisce più nulla nell’attuale politica italiana che continua a dimostrarsi trasversalmente indifferente ai principi di vita, famiglia e libertà di educazione. Non è un caso che proprio su questi temi definiti “sensibili”, tutti i partiti del centrodestra lasciano ai parlamentari libertà di coscienza.
Ora, chiediamo a nostri amici: che cosa è valso tutto l’impegno profuso nel sostenere il candidato Musumeci in Sicilia? L’assessorato alla Famiglia affidato ad una “ingroina”, sinistroide, anti-berlusconiana, che si batte per il «riconoscimento dei diritti civili degli individui e delle coppie a prescindere dal genere» e per «una cultura delle differenze». Uno scherzo davvero crudele per tutto il popolo del Family Day, che passerà alla storia come la «beffa Musumeci».
Ora, ci chiediamo quante altre beffe si devono ancora subire prima di rendersi conto che la logica dell’appoggio esterno non funziona?
Non è bastato il selfie con Alfano poco prima del Family Day. Non è bastata la delusione del neo sindaco di Verona per la mancata promessa di istituire un assessorato alla famiglia, che un autorevole esponente del Comitato aveva dato per certa. Non è bastato il neo sindaco di Genova che ha dichiarato un dovere legale celebrare le unioni civili omosex. Ora speriamo basti la «beffa Musumeci».
A destra e a sinistra, ieri come oggi, vige sempre la logica cinicamente incarnata nel motto popolare che dice: «Passata la festa, gabbato lo santo». Una volta ottenuta la vittoria, infatti, tutte le rassicurazioni elettorali si sciolgono come neve al sole e si rivelano per quello che sono sempre state, ossia «lunghe promesse con l’attender corto» (Inf. XXVII), come ricordava Dante che ha vissuto sulla propria pelle il cinismo politico.
Cari amici del Comitato, la logica dell’appoggio esterno non funzione perché occorre una presenza strutturata e ben identificabile che consenta di essere per il centrodestra quello che il mio amico cileno José Antonio Kast ha definito il «clavo clavado en la cola de la serpiente», ovvero il chiodo piantato nella coda del serpente. Se quel chiodo ci fosse stato, il “serpente” Musumeci non sarebbe scappato via.
Ora, guardiamo alle elezioni politiche.
E’ inutile continuare a ripetere gli errori. Occorre tutti insieme diventare quel “chiodo” che potrà tenere ancorato un futuro governo di centrodestra sui principi che noi riteniamo non negoziabili.
Questo si può fare – ripeto – solo attraverso una presenza strutturata, che oggi già esiste e si chiama Popolo della Famiglia. Le porte di questo movimento sono aperte, anzi spalancate, per tutti coloro che hanno a cuore il desiderio di dare una rappresentanza politica non negoziabile al popolo del Family Day. Aiutiamoci tutti insieme a rafforzare questa presenza.