Grazie Lorenzo!

Grazie Lorenzo!

La cinica strumentalizzazione della vicenda personale di DJ Fabo sta infiammando l’opinione pubblica sul delicato tema dell’eutanasia. Al netto di sciacalli e avvoltoi sempre pronti a speculare politicamente sui casi pietosi utilizzati a fini ideologici, chi abbia la pretesa di affrontare serenamente le ragioni per cui è doveroso opporsi alla cosiddetta “dolce morte” viene spesso azzittito con l’accusa speciosa di pontificare astrattamente. L’obiezione è sempre la stessa: «chi ti dà il diritto di parlare di una condizione che tu non stai sperimentando?». Troppo comodo – ti contestano – disquisire di cose che riguardano altri, quando si è perfettamente sani e non si hanno problemi di salute.

Oggi intendo spuntare quest’arma, e sottrarmi all’obiezione.

Lo faccio pubblicando la lettera di un giovane affetto da triplegia spastica, che è un mio fan affezionato. Mi segue da anni e io ho avuto il piacere di conoscerlo e di apprezzarne le incredibili doti di sensibilità e intelligenza. E’ un ragazzo pieno di vita, capace di donare un sorriso o regalare un consiglio a tutti, nonostante le difficilissime condizioni fisiche in cui è costretto a vivere. Nessuno più di lui ha titolo per poter parlare di eutanasia.

Questo è il testo della lettera inviata al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e al Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi:

«Sono Lorenzo Moscon, ho 20 anni e desidero scrivervi in merito a un tema d’attualità che ritengo fondamentale e di cui già da alcuni anni si sta occupando il Parlamento, ovvero l’Eutanasia.

Mi sono deciso a scrivervi a seguito delle parole del Presidente della Repubblica che ha dichiarato: “indispensabile che il Parlamento si occupi dell’eutanasia.”

Mi sento molto chiamato in causa da un argomento di bioetica così importante e decisivo in ragione della mia esperienza personale: sono affetto da triplegia spastica che mi costringe fin dalla nascita su una sedia a rotelle e ho subito sei interventi chirurgici, dai quali ho ricavato un’esperienza che mi permette di testimoniare quale sia lo stato fisico ed emotivo di un paziente che si trovi costretto in un letto di ospedale.

Posso assicurare grazie a tale esperienza che nella condizione di malattia ho sempre avvertito il bisogno manifesto e oggettivo di essere voluto bene ed amato. La sofferenza, che è uno stato psicologico in questo caso determinata da un dolore fisico, può essere eliminata, anziché intraprendendo un sentiero definitivo come quello dell’eutanasia, mediante una relazione interpersonale che rammenti al malato il valore incommensurabile della propria dignità, dignità che può essere dimostrata grazie alla capacità universale dell’uomo, per esempio di amare, di apprezzare le arti (ad es. letteratura, pittura, scultura, musica), di ragionare, di dialogare, interrogarsi sul senso delle cose, sulla loro origine, il loro scopo, il loro modo di essere, a prescindere dalla loro utilità. La sofferenza fisica e spirituale può essere lenita dalla vista di una persona cara e grazie alla costanza di un rapporto affettivo interpersonale disinteressato, come ho potuto sperimentare in modo costante.

Ogni uomo ha un’inclinazione costitutiva all’autoconservazione: infatti l’uomo è un essere vivente e in quanto essere vivente è costituzionalmente orientato alla vita: un essere vivente orientato alla non vita è in contraddizione con la sua caratteristica costitutiva rappresentata dal fatto che, come dice il nome stesso, è vivente. Pertanto suicidio ed eutanasia sono malvagi perché contraddicono direttamente uno dei fini-beni dell’uomo.

Pur nel condizionamento innegabile della sofferenza e della malattia, si può vivere per riconciliarsi con una persona, per assolvere a degli obblighi morali, per fare testamento.

Si sente spesso parlare di eutanasia come atto di libertà, intesa come assoluta auto-determinazione dell’agire umano e totale sovranità dell’uomo su se stesso, ma a ben vedere, questo atto è in contraddizione lampante con il concetto stesso di libertà, infatti la libertà di vivere è presupposto fondamentale che permette di esercitare ogni altra forma di libertà e l’eutanasia la distrugge. Io Lorenzo, non posso fare a meno di fidami di Lei, la mia libertà mi porta a fidarmi di Lei, Presidente. Per questo mi sono permesso di sottoporre alla Sua attenzione ciò che a me realmente sta a cuore e in cui io credo fermamente. La ringrazio sin d’ora».

Il Presidente Napolitano si degnò di rispondere con una fredda lettera di circostanza, senza sostanzialmente dire nulla nel merito delle questioni sollevate da Lorenzo. Renzi, o qualcuno del suo entourage, non ha neppure avvertito l’esigenza di dare un benché minimo cenno di riscontro. Neppure per mera educazione.

La distanza tra i cittadini e le istituzioni non è mai stata così siderale come in questi tempi cupi.

Noi, comunque, sentiamo la necessità e il dovere di ringraziare con tutto il cuore Lorenzo per la

preziosa testimonianza che ha saputo donarci con la sua lettera, che consideriamo la migliore risposta a tutto gli inutili sproloqui che siamo costretti a sorbirci in queste ore attorno alla tragedia umana di DJ Fabo. Grazie Lorenzo!

Intanto, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha esternato in questi termini: «Nessun malato, ovunque, ma particolarmente nella nostra Repubblica, deve sentirsi invisibile o dimenticato».

E ha aggiunto un’osservazione interessante: «E’ da come una società affronta i problemi di chi è più fragile che si misura la sua civiltà e anche la sua vera forza». Qui siamo d’accordo con Mattarella.

Ma può definirsi “civile” e “forte”una società che di fronte a chi è più fragile l’unica proposta che riesce a formulare è quella di togliere il disturbo con un’iniezione di Pentobarbital?

Noi pensiamo di no.

 

 

 

Gianfranco Amato