E’ Epifania!
Dell’Epifania mi hanno sempre colpito, fin da bambino, due cose: i doni dei Magi e la stella. Mi sono sempre chiesto che razza di regali fossero l’oro, l’incenso e la mirra. Certo non apparivano molto utili nelle circostanze in cui si trovavano i poveri Giuseppe e Maria, che in quel momento avrebbero sicuramente avuto bisogno di ben altre cose assai più necessarie. Solo col tempo ho compreso che quegli strani doni rappresentavano, per la mentalità del tempo, un atto di giustizia. Sì, erano il riconoscimento ufficiale di qualcuno come Dio e Re. In pratica, si trattava di un atto formale di sottomissione all’Autorità riconosciuta. Ma chi erano i Magi? Si trattava di sacerdoti dell’antica religione zoroastriana, quasi certamente dediti all’astronomia, che provenivano dalla Media (μάγοι ἀπὸ ἀνατολῶν). Proprio l’osservazione di uno strano fenomeno astronomico aveva consentito loro di riconoscere la nascita del Re dei Giudei, interpretando quel passo del Libro dei Numeri in cui è scritto «Oritur stella ex Iacob, et consurgit virga de Israel», una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele. E seguendo la stella giungono alla mangiatoia di Betlemme dove riconoscono il Bambino non solo come Re, ma anche come quell’unico Dio che era venerato pure nella rivelazione zoroastriana. I Magi erano culturalmente in grado di comprendere appieno l’importanza religiosa e cosmica della nascita del Cristo. Ed è singolare che i primi a riconoscere la Regalità e la Divinità di Gesù, dopo i pastori, siano stati dei sacerdoti zoroastriani.
«Anche noi», ricordava il grande Sant’Agostino in un suo sermone sull’Epifania, «riconoscendo Cristo nostro re e sacerdote morto per noi, lo abbiamo onorato come se avessimo offerto oro, incenso e mirra» (Sermo 202. In Epiphania Domini, 3, 4). Ma non basta riconoscerlo come Re e Dio. In quel sermone lo stesso Sant’Agostino ci ricordava che «superest ut eum evangelizantes novam viam carpamus, non qua venimus redeamus», ossia, occorre anche testimoniarlo prendendo una via diversa da quella per la quale siamo venuti. Proprio come i Magi: «via mutata, vita mutata est», cambiata la via, è cambiata la vita.
In ogni caso, per loro, la via percorsa per raggiungere la grotta di Betlemme era stata indicata dalla stella. Non sappiamo esattamente quale fosse il fenomeno astronomico osservato dai Magi. C’è chi parla di congiunzione planetare, chi di una vera e propria stella. L’astronomo tedesco Keplero, per esempio, era convinto che si fosse trattato di una nova o di una supernova, ovvero una di quelle stelle che, a causa di un’esplosione, diventano molto luminose e causano una emissione di radiazione che può per brevi periodi superare quella di una intera galassia. Ma il punto non è questo. Ciò che dobbiamo domandarci è perché tanti hanno visto la stella e solo pochi hanno capito cosa in realtà indicasse.
Ci viene in aiuto il grande e indimenticato Benedetto XVI, con un passaggio dell’omelia da lui tenuta nella Messa dell’Epifania 2011: «Possiamo allora chiederci: qual è la ragione per cui alcuni vedono e trovano e altri no? Che cosa apre gli occhi e il cuore? Che cosa manca a coloro che restano indifferenti, a coloro che indicano la strada ma non si muovono? Possiamo rispondere: la troppa sicurezza in se stessi, la pretesa di conoscere perfettamente la realtà, la presunzione di avere già formulato un giudizio definitivo sulle cose rendono chiusi ed insensibili i loro cuori alla novità di Dio. Sono sicuri dell’idea che si sono fatti del mondo e non si lasciano più sconvolgere nell’intimo dall’avventura di un Dio che li vuole incontrare. Ripongono la loro fiducia più in se stessi che in Lui e non ritengono possibile che Dio sia tanto grande da potersi fare piccolo, da potersi davvero avvicinare a noi».
Sì, quello che manca – dice ancora Benedetto XVI nella citata omelia – non è solo l’umiltà autentica, capace di sottomettersi a ciò che è più grande, ma anche il coraggio autentico, che porta a credere a ciò che è veramente grande, anche se si manifesta in un Bambino inerme, e la capacità evangelica di essere bambini nel cuore, di stupirsi, e di uscire da sé per incamminarsi sulla strada che indica la stella, la strada di Dio. Quello che manca è la capacità di essere davvero piccoli.
Un’esortazione singolarmente richiamata anche nell’ultimo messaggio che la Madonna ha rivelato a Medjugorje lo scorso 2 gennaio, quattro giorni fa, in cui ci ha detto: «Dovete essere piccoli, dovete farvi più piccoli degli altri». Essere piccoli, per essere riempiti dell’amore di Dio. Anche questo significa l’Epifania.
Auguri!
Gianfranco Amato