Il seme del Popolo della Famiglia è germogliato.
Il recente risultato elettorale di Ostia ha confermato la crescita del percorso evolutivo del nostro movimento. Essere passati dallo 0,6% all’1,37% rappresenta un significativo elemento di valutazione perché, al netto della spocchiosa ironia degli scettici, indica che il seme è diventato germoglio. Certo si tratta di un piccolo germoglio, ma è pur sempre un germoglio. Sbagliano, quindi, gli amici e gli avversari che, pensando già di poter raccogliere la spiga, sottovalutano la presenza di questo virgulto. Io comprendo che l’appassionato entusiasmo in molti neofiti della politica spinga a desiderare il raggiungimento immediato dell’obiettivo, ma non funziona così. Esistono tempi che non possono essere anticipati. In questo senso occorre imparare la saggia pazienza del contadino, il quale sa benissimo che dopo aver posto il seme nella terra deve aspettare che germogliando si trasformi in virgulto e che poi, crescendo col tempo, diventi una spiga da raccogliere. E così anche in politica. Per creare un partito occorrono anni.
Io ho un dato anagrafico che mi consente di averne viste abbastanza nella vita.
Ricordo, ad esempio, nel lontano 1985 quando a Varese fu eletto in consiglio comunale il primo e unico esponente leghista. Si trattava dell’architetto Giuseppe Leoni, un simpatico “lumbard” noto anche per i suoi vistosi papillon. Allora imperava il craxismo e il partito-stato incarnato nella Democrazia Cristiana. In consiglio comunale il povero Leoni veniva trattato come fosse un personaggio folcloristico, una specie di “gioppino” di Bossi, a metà tra il ridicolo e il patetico.
Lo ascoltavano con infastidita sufficienza, e poi tornavano a «parlare di cose serie». Una classe politica arrogante ed autoreferenziale che non aveva capito cosa stesse per capitare. Viveva fuori dal mondo, lontana dal popolo, affetta dal delirio di onnipotenza e di impunità. Esattamente come la classe politica che sta attualmente governando il nostro Paese.
Due anni dopo aver ottenuto il primo consigliere comunale, la Lega osa presentarsi alle elezioni politiche. Alla Camera dei Deputati ottiene lo 0,48% dei voti, mentre al Senato raggiunge lo 0,42 e ottiene così i suoi primi due seggi in parlamento. Umberto Bossi fu eletto sia alla Camera, nella circoscrizione Como-Sondrio-Varese, che al Senato. Optò per il Senato e divenne da allora “il Senatùr”, mentre alla Camera gli subentrò l’architetto Giuseppe Leoni. E’ soltanto dopo questo importante passaggio elettorale che, tra il 1988 ed il 1989, la Lega completata la sua struttura territoriale con la costituzione delle sezioni provinciali, la celebrazione dei congressi provinciali, l’elezione dei primi segretari e dei direttivi provinciali e l’apertura di una sede in ogni capoluogo.
In occasione delle elezioni europee del 18 giugno 1989 la Lega riesce ad eleggere i primi due eurodeputati, raccogliendo a livello nazionale 636.242 voti, pari al 1,86%. Passa quindi, dallo “zerovirgola” delle politiche del 1987 all’1,86% delle europee del 1989.
Domanda agli amici “Impazienti” ed agli scettici: «Ma Bossi e Leoni hanno fatto bene a non arrendersi di fronte al risultato elettorale del 1987 (0,48% alla Camera e 0,42% al Senato), sì o no? Hanno fatto bene o hanno fatto male ad ostinarsi a continuare nonostante gli sberleffi, i sarcarsmi, le beffe e le ironie sullo “zerovirgola”?». Beh, la storia in questo caso ha dato la risposta.
Nel 1990, tre anni dopo lo “zerovirgola”, La Lega partecipa alle elezioni regionali e si afferma come secondo partito, raccogliendo 1.183.493 voti, pari al 18,94%.
Due anni dopo, nel 1992, arriva la rivincita dell’ex consigliere comunale Giuseppe Leoni. Il leghista Raimondo Fassa, infatti, viene eletto sindaco di Varese. In quella tornata elettorale la Lega ottiene il 37,3% staccando di quasi venti punti la Democrazia Cristiana ferma al 17,7%. Fu una grande vittoria per il partito di Bossi, che per la prima volta ottenne la carica di sindaco nella citta che in pochi anni diventerà feudo del leghismo. Oggi la Lega è un partito nazionale, componente essenziale del centrodestra e potenzialmente capace di esprimere un candidato premier.
Posso assicuravi che nessuna persona dotata di raziocinio, assistendo – com’è capitato a me – ad un consiglio comunale di Varese nel 1986, avrebbe mai scommesso un centesimo bucato sul fatto che il partito del folcloristico Leoni sarebbe diventato quello che poi è diventato. A chi parla di risorse finanziarie e di comunicazione vorrei anche ricordare che la Lega degli esordi non aveva né mezzi né spazio comunicativo. In quegli anni non esisteva neppure Internet. Loro, partendo dal basso, si fecero conoscere con la militanza e con il più antico ed efficace sistema di comunicazione: il passa parola. Io mi ricordo che bussavano casa per casa, con il classico sistema del “porta a porta” e organizzavano i primi “gazebo”. Ricordo anche che mentre erano ostracizzati e censurati dai mezzi di comunicazione, tenuti alla larga dalla TV di Stato, snobbati dai giornali di regime, considerati come “appestati” dai salotti buoni e radical-chic, il popolo li apprezzava anche se non ne condivideva le idee. Era considerata gente da rispettare perché comunque disposta a giocarsi la faccia per un ideale in cui credeva, in un momento in cui la politica tutto era fuorché un ideale da difendere.
Ecco, io penso che quella esperienza avrebbe molto da insegnarci.
Per una singolare coincidenza, proprio mentre si consolidava il risultato elettorale di Ostia, mi è capitato tra le mani lo scritto “Riflessioni sopra un’esperienza” di don Luigi Giussani. Ripropongo questo interessante passaggio: «Il fare deve venir realizzato con due condizioni: – 1) non deve avere limiti di tempo preventivati. Non si può dire “tento un certo numero di volte, e poi, se non riesco, e non mi piace, basta”. E’ un’impostazione all’origine che rivela una mancanza sottile di amore al Vero, o una sottile presunzione, o un attaccamento a sé. – 2) Qualsiasi gesto (qualsiasi “fare”) impegna tutta la persona come tale. Perciò anche un’attività minima, accettata per l’Ideale, dà un contributo valido alla crescita della persona. Spesso si desiste dall’impegno, perché non ci si sente capaci di un livello più alto di realizzazione: si abbandona tutto perché appare troppo irraggiungibile la cima, o semplicemente quello che altri fanno. Nulla è più irrazionale di questa specie di “scandalo del bene”. Ognuno faccia ciò che gli riesce di fare. In qualsiasi circostanza si trovi – fosse anche il livello più basso – nessuno è scusato dal tentativo indomabilmente ripreso. “Vita non facit saltum”; per cui non possiamo pretendere di arrivare subito ad un vertice, ma occorre una pazienza di sviluppo, lunga come la pazienza del Signore, cioè come tutto il tempo della nostra vita».
Giussani applicò alla vita la celebre frase «natura non facit saltum», con la quale si intendeva affermare che ogni cosa in natura avviene secondo leggi fisse, tempi prestabiliti e per gradi. Si tratta di una formula, di origine scolastica, che si trova nella forma tradizionale nella Philosophia botanica di Linneo (1751), ma che era presente nel Nouveaux essais di Leibniz (1704), nella forma «tout va par degrés dans la nature, et rien par saut», ossia, «tutto procede per gradi nella natura, e niente con salto». No, amici cari, anche in politica, come in natura e nella vita, non si possono fare salti.