Il caso Charlie Gard, il piccolo condannato a morte dalla cinica magistratura eugenista britannica, avrà un posto d’onore nel museo delle vergogne storiche dell’umanità. Un classico esempio di asservimento della scienza all’ideologia totalitaria, come gli abomini dei medici nazisti o degli psichiatri sovietici.
Quello che davvero sconcerta, però, non è la vicenda in sé. Ormai siamo tristemente condannati a rivivere le parole del salmista: «Abyssus abyssum invocat». Al peggio non sembra esserci fine. No, quello che sconcerta nella triste storia del piccolo Charlie è il silenzio assordante dei sedicenti Pastori della Chiesa di Cristo. Al netto, ovviamente, delle consuete encomiabili eccezioni. Due in particolare: quella dell’Arcivescovo di Trieste mons. Giampaolo Crepaldi e quella del Cardinale Carlo Caffarra.
Il primo si è così pronunciato sul caso:
«La vicenda del piccolo Charlie Gard e dei suoi genitori colpisce la nostra pietà umana e cristiana, ma va considerata anche alla luce della ragione e della dottrina della fede. Esso, infatti, ci pone davanti a principi e valori fondamentali per l’uomo e la convivenza civile. Mi riferisco ai principi del totale rispetto dovuto alla vita umana, del primato dei genitori nella gestione coraggiosa e prudente di queste tragiche situazioni, della inammissibilità che sia lo Stato, o un giudice, o una Corte di giustizia a stabilire chi deve vivere e chi deve morire. I genitori del bambino volevano tentare una nuova terapia, per la quale avevano anche raccolto le risorse necessarie. Era loro diritto farlo. Nel caso del piccolo Charlie si vuole di fatto applicare un trattamento eutanasico, e questo non può essere accettato. Il caso è dirompente perché l’attuazione della sentenza minerebbe i fondamenti stessi dell’umanesimo cristiano e si aprirebbe un radicale percorso di esodo dalla nostra civiltà. Charlie Gard ha bisogno dell’affetto dei suoi genitori, dell’impegno dei medici per assisterlo e della preghiera dei cristiani. Non di sentenze che ne decretano la morte. La morte di Stato è un’orrenda invenzione ideologica».
Il secondo, ovvero il cardinal Caffarra, si è espresso in questi termini:
«Siamo arrivati al capolinea della cultura della morte. Sono le istituzioni pubbliche, i tribunali, a decidere se un bambino ha o non ha il diritto di vivere. Anche contro la volontà dei genitori. Abbiamo toccato il fondo delle barbarie. Siamo figli delle istituzioni, e dobbiamo la vita ad esse? Povero Occidente: ha rifiutato Dio e la sua paternità e si ritrova affidato alla burocrazia! L’angelo di Charlie vede sempre il volto del Padre. Fermatevi, in nome di Dio. Altrimenti vi dico con Gesù: “Sarebbe meglio che vi legaste al collo una macina da mulino e vi gettaste nel più profondo del mare”».
Da tutti gli altri Pastori si è registrato un sostanziale silenzio, se si esclude qualche rara frase di rito venata di prudenza e ipocrisia.
Il silenzio mi addolora ma non mi stupisce. La deriva totalitaria del Pensiero Unico che attanaglia il nostro Paese continua a terrorizzare i pavidi. Ma non è una novità questa. Come già più volte ho avuto occasione di ricordare, durante la dittatura nazionalsocialista del Terzo Reich ci sono stati vescovi come August Clement von Galen (beatificato da papa Benedetto XVI il 9 ottobre 2005) che si guadagnò il soprannome di «Löwe von Münster», leone di Münster, per aver osato sfidare Hitler, rischiando l’impiccagione, e vescovi come mons. Alois Hudal, entusiasta sostenitore del nazismo che arrivò a scrivere un libro intitolato “I fondamenti del nazionalsocialismo”, pubblicato nel 1937 con l’imprimatur dell’Arcivescovo di Vienna Theodor Innitzer. Ecco, tra questi due estremi opposti – i vescovi resistenti e i vescovi nazisti – c’era poi la stragrande maggioranza dei vescovi che preferirono optare per la prudenza, la diplomazia e il silenzio. Alcuni di loro sostenevano che in effetti i tempi erano difficili ma che, comunque, con il Potere, nella logica del male minore, era più opportuno mantenere un dialogo costruttivo. Costruire ponti, anziché muri. Sappiamo, poi, la Storia a chi ha dato ragione tra il «Leone di Munster», mons. Hudal e i vescovi pontieri. Le dittature cambiano ma i vescovi, che sono uomini come tutti gli altri, si comportano sempre nello stesso modo: conniventi, complici o resistenti.
Se oggi fosse vivo il Beato August von Galen sappiamo cosa avrebbe detto sul caso Charlie Gard. Avrebbe semplicemente ripetuto le coraggiose parole da lui pronunciate durante l’omelia tenuta il 3 agosto 1941 dal pulpito della chiesa di San Lamberto a Münster contro la decisione del regime nazista di legalizzare l’eutanasia.
Riascoltiamole:
«Hai tu, ho io il diritto alla vita soltanto finché noi siamo produttivi, finché siamo ritenuti produttivi da altri? Se si ammette il principio, ora applicato, che l’uomo “improduttivo” possa essere ucciso, allora guai a tutti noi, quando saremo vecchi e decrepiti! Se si possono uccidere esseri improduttivi, allora guai agli invalidi, i quali nel processo produttivo hanno impegnato le loro forze, le loro ossa sane, le hanno sacrificate e perdute! Se si possono eliminare con la violenza esseri improduttivi, allora guai ai nostri bravi soldati, che tornano in Patria gravemente mutilati, invalidi! Se poi si arriverà ad ammettere che delle persone abbiano il diritto di uccidere dei consimili, “non produttivi” – anche se ora sono colpiti soltanto poveri ed indifesi malati di mente – allora per principio sarà permesso l’assassinio di tutte le persone non produttive, e cioè dei malati incurabili, degli invalidi del lavoro e di guerra, e quindi anche l’assassinio di noi tutti, quando saremo vecchi e decrepiti, e non più produttivi, è per principio lecito. E allora è sufficiente che un qualsiasi decreto segreto ordini che il procedimento sperimentato con i malati di mente venga esteso ad altri «improduttivi», per essere applicato anche ai tisici incurabili, ai decrepiti, agli invalidi sul lavoro, ai soldati gravemente mutilati. Allora nessuno è più sicuro della propria vita. Una qualunque Commissione lo può includere in una lista degli «improduttivi», che, secondo il loro parere, sono diventati «vite inutili». E nessuna polizia li proteggerà, e nessun tribunale punirà il loro assassinio e condannerà l’assassino alla pena che si merita. Chi allora potrà avere ancora fiducia nel proprio medico? Può darsi che egli dichiari il malato come “improduttivo” e gli si ordini di ucciderlo. È inimmaginabile quale imbarbarimento dei costumi, quale generale diffidenza saranno portati entro le famiglie, se questa dottrina sarà tollerata, accettata e seguita. Guai agli uomini, guai al nostro popolo tedesco, se il sacro comandamento divino: “Non uccidere”, che il Signore ha annunciato tra tuoni e lampi sul monte Sinai, che Iddio, nostro creatore, ha impresso sin dall’inizio nella coscienza degli uomini, non soltanto sia trasgredito, ma se tale trasgressione sia perfino tollerata ed impunemente messa in pratica».
Possa il Signore concedere a tutti i nostri Pastori il coraggio di ruggire come il possente leone di Münster, e di agire con le parole del motto episcopale che lui decise di adottare: «Nec laudibus, nec timore».
Spiegò il significato di quelle parole nel suo primo messaggio alla diocesi: «Né le lodi né il timore degli uomini mi impediranno di trasmettere la Verità rivelata, di distinguere tra la giustizia e l’ingiustizia, tra le buone e le cattive azioni, né di dare consigli e ammonimenti ogni volta che sarà necessario».
Il Potere può anche blandire o minacciare, ma il Pastore non deve mai temere di proclamare la Verità.
Gianfranco Amato