L’ONORIFICENZA DI TITO

Ci sono dei paradossi che sono tutti squisitamente italiani. Uno di questi sta emergendo a seguito del dibattito sulle foibe e sulla ricorrenza del Giorno del Ricordo. Nella Gazzetta Ufficiale Repubblica Italiana n. 54 del 2 marzo 1970 veniva pubblicato il decreto di nomina di Broz Tito Josip, Presidente della Repubblica socialista federativa di Jugoslavia, all’onorificenza di Cavaliere di gran croce, decorato di gran cordone, dell’Ordine «Al merito della Repubblica italiana». Sì, pochi forse lo sanno, ma Josip Broz Tito, il sanguinario «Maresciallo Tito», è ancor oggi cavaliere di gran croce dell’Ordine «Al merito della Repubblica italiana», decorato di gran cordone, il titolo onorifico più elevato della Repubblica italiana. Stiamo parlando di un criminale di guerra violatore dei diritti umani, riconosciuto come tale anche dai popoli che egli oppresse. Ricordiamo, per esempio,  che il 3 ottobre 2011 la Corte costituzionale della Slovenia ha dichiarato  incostituzionale l’intitolazione di una strada di Lubiana a Tito, avvenuta nel 2009, riconoscendo che avrebbe comportato la glorificazione del suo regime totalitario e una giustificazione delle gravi violazioni dei diritti dell’uomo avvenute durante il suo regime, e che in tempi più recenti l’amministrazione comunale di Zagabria ha tolto dalla toponomastica cittadina l’intitolazione a Tito di una delle principali piazze della capitale croata. In Italia, invece, Tito mantiene la più alta onorificenza della Repubblica. E qui sta tutto il paradosso italiano. Da una parte la Repubblica riconosce la tragedia delle foibe, celebrando ufficialmente l’evento ogni 10 febbraio in occasione del Giorno del Ricordo (istituito con legge 30 marzo 2004, n. 92) e, dall’altro, annovera tra i suoi più illustri insigniti proprio chi ordinò la pulizia etnica degli italiani in Istria e nell’Adriatico orientale. Una macchia, una barbarie, com’è stato più volte detto, che ancora oggi pesa sul passato, ma anche sul presente e sul futuro di molti italiani che hanno vissuto direttamente o indirettamente il dramma di quegli anni di foibe ed esodo.

Ora, quale sarebbe il cavillo burocratico che impedirebbe la revoca dell’onorificenza a Tito? La legge in materia sostiene che per effettuare un tale passo occorra comunque contestare l’indegnità all’interessato e concedergli la possibilità di presentare memorie difensive a sua discolpa. Procedura che diventerebbe alquanto complicata nel caso di Tito visto che questi è deceduto da quarantanni. Stesso ragionamento varrebbe, per assurdo, anche nel caso di personaggi come Hitler, Stalin, Pol Pot, Castro. È proprio così. Infatti, il 16 aprile 2013, per esempio, il prefetto di Belluno, a nome del Governo, in risposta a una richiesta ufficiale di cancellare le onorificenze a Tito e ai suoi uomini per «indegnità» scriveva: «Nel caso di Josip Broz Tito, insignito nel 1969 della distinzione di Cavaliere di Gran Cordone quale Presidente della Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia in occasione di una visita di Stato, non è ipotizzabile alcun provvedimento di revoca essendo il medesimo deceduto. La norma prevede che la persona oggetto dell’eventuale revoca debba essere preventivamente informata onde poter presentare una memoria scritta a propria difesa». Aggiungeva, poi, il Prefetto: «La possibilità di revocare l’onorificenza, pertanto, presuppone l’esistenza in vita dell’insignito».

Il paradosso è amplificato anche da alcune affermazioni rese pubblicamente da Presidenti della Repubblica italiana che certo non possono essere sospettati si simpatie destrorse. Mi riferisco in particolare all’ex comunista Giorgio Napolitano che, proprio da Capo dello Stato, ricordò che il dramma del popolo giuliano-dalmata fu scatenato «da un moto di odio e furia sanguinaria e un disegno annessionistico slavo che prevalse innanzitutto nel trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica». Anche l’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha riconosciuto che «per troppo tempo le sofferenze patite dagli italiani giuliano-dalmati con la tragedia delle foibe e dell’esodo hanno costituito una pagina strappata nel libro della nostra storia». Ha pure aggiunto che, istituendo il Giorno del Ricordo, «il Parlamento con decisione larga-mente condivisa ha contribuito a sanare una ferita profonda nella memoria e nella coscienza nazionale», visto che «oggi la comune casa europea permette a popoli diversi di sentirsi parte di un unico destino di fratellanza e di pace», verso «un orizzonte di speranza nel quale non c’è posto per l’estremismo nazionalista, gli odi razziali e le pulizie etniche». Però l’esponente di questo odio razziale e il responsabile della pulizia etnica contro gli italiani continua a rimanere annoverato tra i più illustri insigniti della Repubblica. Il 20 dicembre 2018 è stato depositato in Senato il disegno di legge n. 815 finalizzato proprio a risolvere questa stortura. Si tratta di una lodevolissima iniziativa legislativa che meriterebbe davvero di vedere la luce. Lo dobbiamo alla memoria e all’onore di tutti i nostri connazionali trucidati da quel criminale di guerra che porta il nome di Josif Broz Tito.

 

Gianfranco Amato