Sinceri auguri a Maroni!

Sabato mattina 12 gennaio mi trovavo al gazebo organizzato dal Popolo della Famiglia di Varese quando si è affacciato Roberto Maroni.

È stata una simpatica visita di cortesia ed anche l’occasione per scambiare due chiacchiere in libertà. Tra l’altro, ricordando l’epica manifestazione al Circo Massimo, Maroni ha rievocato le stizzite polemiche che seguirono la sua coraggiosa decisione di illuminare il Pirellone con la scritta “Family Day”.

E mi ha ripetuto le stesse considerazioni che all’epoca rilasciò ai mezzi di comunicazione nazionali: «Perché l’amministrazione comunale di Milano può sostenere le manifestazioni arcobaleno e noi non possiamo farlo con il Family Day? Perché la presidente della Camera Laura Boldrini il 23 gennaio 2016 ha potuto partecipare alla manifestazione in favore delle unioni civili e della stepchild adoption, mentre il presidente della Regione Lombardia non può esprimersi a favore della famiglia tradizionale? È il solito “doppiopesismo” della sinistra». Tra l’altro, Maroni mi ha confessato che l’unica cosa di cui si è pentito è quella di non aver illuminato anche l’altra sede della Regione, Palazzo Lombardia. Ricordo anche quando al Circo Massimo una giornalista del “Fatto Quotidiano” gli contestò la scelta di Matteo Salvini «di non aderire al Family Day perché divorziato».

Maroni rispose così: «Sono io a rappresentare la Regione Lombardia, comunque vedo tanti leghisti presenti, quindi la Lega c’è». Corretto ma chiaro, come sempre.

Coraggiosa anche la sua decisione di portare il gonfalone della Regione sul palco del Circo Massimo. La Lombardia, in effetti, è stata l’unica regione d’Italia ad aderire formalmente al Family Day 2016 anche attraverso quel gesto simbolico deciso con una delibera di giunta.

Nella fugace chiacchierata con Maroni abbiamo anche parlato di un’altra sua coraggiosa iniziativa assunta nella vicenda del povero bimbo inglese Charlie Gard: lo striscione con la scritta “#SaveCharlie” apposto sulla facciata del Pirellone. E dello “Sportello anti-gender” installato in regione per consentire ai genitori la possibilità di denunciare eventuali progetti scolastici ispirati alla nefasta ideologia gender.

A proposito, Maroni ha anche finalmente chiarito il contestato tweet sulla legge antiomofobia inviato al presidente della Regione Puglia, che aveva giustamente sollevato più di una perplessità: si è trattato di una battuta provocatoria, tant’è vero che Emiliano non ha più richiamato.

Ora siamo tutti più tranquilli e contenti.

Io ho conosciuto Roberto Maroni circa trent’anni prima del suo esordio in politica. Me lo ricordo come il virtuoso tastierista nella mitica band varesina “Distretto 51”. Eravamo giovani entrambi, anche se lui con qualche anno in più di me, e tutti e due abbiamo frequentato il Liceo Classico “Cairoli” di Varese.

Agli inizi del suo debutto in politica, una volta ho avuto modo di incontrarlo presso la sede del Sin.Pa, il sindacato padano. Era un tipo pacato, riflessivo e anche simpatico. Esattamente l’opposto del prototipo leghista che la disinformazione di regime proponeva all’opinione pubblica. Da allora Maroni ha percorso tutto il cursus honorum di un politico di razza. Parlamentare, ministro, segretario nazionale, e presidente della più importante regione d’Italia. Maroni, a differenza di tanti, è però sempre rimasto lo stesso: non si è mai montato la testa. Davvero una rara avis nell’attuale squallido scenario politico italiano in cui sembra dominare solo l’apparenza mediatica di politicanti che si atteggiano a vip, affetti da un Ego ipertrofico, disgustosamente autoreferenziali e arroganti.

Sono davvero contento di aver rivisto, sabato mattina, Roberto Maroni. Era sempre lui, lo stesso “Bobo”, com’è affettuosamente soprannominato da tutti. Per questo non mi ha meravigliato il fatto che ci abbia simpaticamente incoraggiato a continuare augurandoci buona fortuna.

Non mi ha neppure sorpreso la scelta rara e coraggiosa di rinunciare, per motivi personali, alla sicura riconferma della prestigiosa carica che oggi ricopre. Tutti oggi lambiccano il cervello con fantasiose letture dietrologiche. Non sanno che Maroni è semplicemente un uomo libero. Sempre leale e corretto con il movimento politico in cui è nato, ma mai servo di partito. Anche per questo, oggi, rappresenta una rara eccezione. Non è uno affetto da “politicopatia”, non è un drogato del potere e può smettere quando vuole. Anche per questo motivo penso, personalmente, che un domani possa essere un ottimo premier. Anzi, il mio sogno sarebbe quello di un governo di centrodestra guidato da Maroni, in cui il Popolo della Famiglia possa svolgere la funzione del «chiodo impiantato nella coda del serpente», per usare l’espressione del nostro amico cileno Kast, ovvero la funzione del garante della tenuta sui principi non negoziabili: vita, famiglia, educazione. Chissà, forse un giorno, a Dio piacendo, quel sogno si realizzerà.

La fortunata carriera di Roberto Maroni è dovuta, peraltro, anche ad un segreto che lui mi svelò un giorno. All’inizio del suo impegno, infatti, un prefetto gli diede la ricetta della longevità in politica. La formula magica per reggere nel tempo senza guai: «stare lontani dai soldi». Bobo lo ha ascoltato. Non si è arricchito ma è sopravvissuto indenne alla tempesta che ha travolto persino lo storico fondatore del suo partito.

Proprio perché non è un carrierista ossessionato dal potere ma un uomo libero, nessuno può ipotizzare cosa riservi il futuro a Roberto Maroni.

Noi gli auguriamo buona fortuna.

Anzi, ricambiamo di cuore gli auguri che lui ci ha rivolto.

Gianfranco Amato