Ricordiamoci del voto!

Si avvicinano le elezioni e quindi il tempo in cui occorre riflettere, ponderare e considerare bene chi possa meritare il nostro voto. Soprattutto, però, è il tempo di ricordare. Chi ha a cuore i cosiddetti «principi non negoziabili» (vita, famiglia e libertà d’educazione), è bene che in questo periodo ricorra alla memoria e ripensi a come le forze politiche presenti in parlamento si siano comportate rispetto a quei principi.

Proviamo ad aiutare chi fosse affetto da momentanea amnesia citando ad esempio la Legge 6 maggio 2015 n. 55, quella che comunemente va sotto il nome di “legge sul divorzio breve”, definitivamente approvata dalla Camera dei Deputati il 22 aprile 2015 con 398 voti a favore e solo 28 contrari.

Ricordiamo come si sono comportate le principali forze politiche in quell’occasione.

Cominciamo da sinistra.

Partito democratico: 231 favorevoli, 0 contrari, 0 astenuti.

SEL: 16 favorevoli, 0 contrari, 0 astenuti.

Alternativa Popolare (Alfano): 7 favorevoli, 3 contrari, 2 astenuti.

Guardiamo ora a destra, area in cui – secondo alcuni – dovrebbero teoricamente collocarsi i partiti difensori dei principi non negoziabili.

Forza Italia (35 presenti su 70): 25 favorevoli, 8 contrari, 2 astenuti.

Lega Nord (13 su 17 presenti): 5 favorevoli, 7 contrari, 1 astenuto.

Fratelli d’Italia (4 su 8 presenti): 1 favorevole, 3 contrari, 0 astenuti.

Il partito berlusconiano continua sostanzialmente a configurarsi come una forza politica “liberal” sui valori, mentre per gli altri due, Lega e Fratelli, continua la linea del “liberi tutti”.

É incredibile come non ci si renda conto degli effetti deflagranti sul piano sociale che possono determinare simili provvedimenti normativi. Il cosiddetto “divorzio breve” ha rappresentato davvero l’ultima picconata alla famiglia. L’Istat ha certificato che proprio l’introduzione di questa novità legislativa ha fatto registrare già nel 2015 un aumento del 57% dei divorzi (82.469) rispetto all’anno precedente. Con una triste novità: il boom degli over sessantacinque che hanno rappresentato ben il 20% delle domande di divorzio breve. Sono riusciti a distruggere persino la serenità delle coppie dei nonni.

La rivoluzione antropologica che sta devastando il nostro Paese avanza a tappe forzate attraverso la funzione pedagogica della legge. Riesce perfettamente ad utilizzare la forza imperativa della norma per fare cultura per modificare e manipolare la Weltanschauung del popolo italiano. Del resto, da sempre il Potere ha usato questo mezzo per imporre il proprio pensiero. A proposito del divorzio, mons. Giacinto Tredici, Vescovo di Brescia dal 1934 al 1964, citò il caso francese. In Francia, infatti, si è introdotto per legge il divorzio nel 1884, nonostante gli ammonimenti del Papa Leone XIII nella sua enciclica sul matrimonio pubblicata nel 1880, in cui si segnalavano le prevedibili conseguenze di quella legge. I sostenitori del divorzio dicevano il contrario: il divorzio avrebbe sciolto i matrimoni male assortiti che attendevano una soluzione, poi si sarebbe rientrati nella normalità. I fatti invece furono questi. Mentre nel 1883 si aveva in Francia una media annua di circa 700 separazioni legali, che sembrava potessero rappresentare la somma dei matrimoni infelici in cui la convivenza appariva impossibile, nell’anno seguente, con la nuova legge del divorzio, mentre le separazioni non diminuirono, si ebbero subito 1675 divorzi, e questi, con una continua corsa ascendente, arrivarono nel 1921, quindi dopo trentasette anni, al numero di 32.557, mentre la natalità diminuiva spaventosamente.

Dopo più di un secolo si utilizza sempre il medesimo sistema per scardinare la società.

Poniamoci una domanda: «È possibile parlare di matrimonio indissolubile da un punto di vista squisitamente laico?». Ovvero, ha senso parlare di indissolubilità prescindendo da qualunque valutazione di carattere religioso, sacramentale, teologico? Io sono convinto che sia possibile.

Se anche per un laico la famiglia rappresenta la cellula della società, l’indissolubilità di quella cellula è la garanzia dell’indissolubilità della società. E lo Stato ha interesse al mantenimento di una società solida piuttosto che di una società liquida.

Anche un laico, peraltro, può comprendere che l’indissolubilità del matrimonio difende innanzitutto la dignità della donna, la parte più debole in caso di abbandono, che dopo aver dato al marito il meglio di sé, dopo avergli donato le sue qualità ed attrattive migliori, non merita certo di essere lasciata quando queste vengono meno naturalmente col tramontare della gioventù e coll’avvicinarsi della età matura e della vecchiaia coi suoi incomodi e i suoi bisogni. E tutti possono comprendere la necessità del matrimonio indissolubile per il destino dei figli, il loro sostentamento e la loro educazione. Abbiamo sotto gli occhi quotidianamente gli effetti devastanti del divorzio su intere generazioni di giovani.

Come sosteneva il grande filosofo-contadino Gustave Thibon «gli sposi non si impegnano soltanto l’uno verso l’altro, ma anche l’uno e l’altro verso una realtà di cui fanno parte e che li supera: la famiglia innanzi tutto, di cui sono la sorgente e il sostegno, e in seguito la Nazione e la Chiesa, corpi viventi di cui le famiglie sono le cellule». Ecco perché una istituzione così importante come il matrimonio ha bisogno d’essere protetta contro le mille vicissitudini dell’istinto e dell’interesse personale, perché proprio il matrimonio costituisce il fondamento della comunità umana; se quello si spezza, questa si sfascia.

Ha proprio ragione Thibon: oggi noi assistiamo al sorgere, per reazione, di una specie di mistica del matrimonio, che si preoccupa più della qualità del vincolo personale tra gli sposi che delle sue conseguenze sociali.

Viviamo in un’epoca in cui pare dilagare e dominare una sorta d‘iperestesia dell’io e di ugualitarismo grossolano, che considera la felicità dell’individuo un diritto «assoluto».

Detto questo, però, non si può neppure dire che l’indissolubilità del matrimonio si opponga all’amore. Anzi, è vero il contrario. Lo spiega bene lo stesso Thibon distinguendo la fase antecedente e quella seguente del matrimonio. Prima di sposarsi, infatti, l’individuo consapevole dell’irrevocabilità del matrimonio è «indotto a non avventurarsi alla leggera in quel vicolo cieco che ha il muro di chiusura alle spalle; come il conquistatore che brucia i suoi vascelli per togliersi prima della battaglia ogni possibilità di ritirata, i fidanzati che acconsentono a legarsi l’uno all’altro fino alla morte attingono a questa “idea-forza” una garanzia preliminare contro tutti gli eventi del destino che minacceranno il loro amore». Al contrario, «la sola idea del divorzio possibile prende dimora tacitamente nel profondo dell’anima, come un verme deposto da una mosca in un frutto in formazione e che ne divorerà un giorno la sostanza». L’esperienza ha più volte dimostrato, infatti, che in alcune circostanze, specie quando si tratta di grandi prove, è sufficiente considerare una cosa come possibile perché essa divenga necessaria. Si tratta di un dato psicologico elementare che da solo basta a sfatare, tra l’altro, il mito del cosiddetto “matrimonio di prova”.

Dopo il matrimonio vero, invece, «il patto nuziale, situando una volta per sempre la sostanza dell’amore al di là delle contingenze, contribuisce necessariamente a decantare, a purificare l’amore; così come una diga non solo contiene il corso del fiume, ma rende le sue acque più limpide e più profonde; la necessità di subire e di superare la prova del tempo agisce sull’affetto degli sposi come vaglio che separa la pula dal chicco del frumento; essa lo spoglia a poco a poco dei suoi elementi accidentali e illusori e ne conserva solo il nocciolo incorruttibile, trasformando la passione in vero amore».

Ai nostri attuali politicanti dovremmo ricordare le parole del grande scrittore cattolico Igino Giordani: «Salvare la famiglia è salvare la civiltà. Lo Stato è fatto di famiglie; se queste decadono, anche quello vacilla». E gli elettori si ricordino di come hanno votato i partiti di destra e di sinistra sulla legge del cosiddetto “divorzio breve”, che ha sferrato un attacco al cuore della famiglia.

 

Gianfranco Amato