È passato poco più di un mese da quando il Comune di Adro, ridente cittadina del bresciano, è stato conquistato dalla sinistra dopo vent’anni di amministrazione leghista. È stato per quattro lustri il feudo indiscusso di un noto politico della Lega, l’on. Danilo Oscar Lancini, prima di essere conquistato dal neosindaco Davide Moretti.
La nuova amministrazione comunale non ha perso tempo nel distinguersi da quella che l’ha preceduta, soprattutto a livello ideologico. Immediato, infatti, l’appiattimento al politicamente corretto, all’ammiccamento gay-friendly, e persino alla cancel culture e all’ideologia woke. Sì, non si è fatta neppure mancare il linguaggio inclusivo con tanto di asterisco. L’ultima genialata emerge da una comunicazione ufficiale del Comune di Adro, Servizi sul Territorio, in cui si annunciava un’iniziativa comunale avente per oggetto «uno spazio di confronto per mamme e neonat*, per approfondire insieme tematiche d’interesse comune e condividere le proprie esperienze». Ancora una volta ad essere messa sotto accusa è la predominanza del maschile nei plurali di gruppo, che urta talmente la sociologia rispetto ad una pura e semplice regola grammaticale. Non c’è nessun dubbio, infatti, che se i funzionari comunali avessero scritto «mamme e neonati», pure le madri delle neonate femmine avrebbero capito che quell’iniziativa era rivolta anche a loro. Si tenta, invece, di evidenziare nella grammatica una prevaricazione che in realtà non esiste e che, semmai, si dovrebbe andare a cercare altrove.
Il fatto grave è che a simili cedimenti ideologici si prestino pure istituzioni pubbliche. L’Accademia della Crusca, istituzione che tutela la lingua italiana, si è chiaramente pronunciata sull’abuso dell’asterisco rispondendo proprio ad un quesito posto dalla Corte di Cassazione sulla parità di genere negli atti giudiziari. L’Accademia, infatti, dopo aver precisato che «la lingua è prima di tutto parlata», e che «il rapporto tra scrittura e parola è fissato da una tradizione consolidata nei secoli, che non può essere infranta a piacere», è giunta alla conclusione di «escludere nella lingua giuridica l’uso di segni grafici che non abbiano una corrispondenza nel parlato, introdotti artificiosamente per decisione minoritaria di singoli gruppi, per quanto ben intenzionati». Ha pure aggiunto che «la lingua giuridica non è sede adatt per sperimentazioni innovative minoritarie che porterebbero alla disomogeneità e all’idioletto».
Le amministrazioni pubbliche, che per loro stessa natura si esprimono e comunicano utilizzando un linguaggio giuridico, dovrebbero attenersi alle disposizioni impartite dalla massima istituzione per lo studio e la valorizzazione della lingua italiana, la quale sul punto è stata ancora una volta chiarissima: «In una lingua come l’italiano, che ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, lo strumento migliore per cui si sentano rappresentati tutti i generi e gli orientamenti continua a essere il maschile plurale non marcato, purché si abbia la consapevolezza di quello che effettivamente è: un modo di includere e non di prevaricare». Aggiungendo che «dobbiamo serenamente prenderne atto, consci del fatto che sesso biologico e identità di genere sono cose diverse dal genere grammaticale».
Senza scomodare l’autorevole Accademia della Crusca, basterebbe del resto il semplice buon senso per comprendere l’assurdità del cosiddetto “linguaggio inclusivo” che sempre più amministrazioni pubbliche stanno adottando. Sarebbe sufficiente chiedersi, per esempio, che suono abbia l’asterisco. La risposta è nessuno. Tecnicamente, si dice che è un grafema senza fonema. E allora, che senso ha utilizzare dei segni neutri che introducono nella lingua italiana dei suoni che al momento non esistono? Che senso ha scrivere delle “lettere” se non si possono contemporaneamente pronunciarle? La storia dell’umanità ha dimostrato che la lingua parlata ha sempre preceduto quella scritta, e che il genere umano ha cominciato a lasciare espressioni grafiche solo 150.000 anni dopo aver imparato a parlare. I miei figli, come quelli di tutti gli altri, hanno iniziato a scrivere quattro o cinque anni dopo aver pronunciato le loro prime parole.
L’uso dell’asterisco “inclusivo”, poi, porterebbe al ripristino di un terzo genere, il neutro, nella lingua italiana che di generi ne prevede solo due: maschile e femminile. Ora, ha davvero senso resuscitare il neutro del latino classico di duemila anni fa? Si tratterebbe davvero di un progresso, di un’espressione di effettiva modernità? No, semmai, l’introduzione del neutro rischierebbe di determinare una complicazione dei meccanismi linguistici, con ulteriori regole grammaticali e difficoltà delle concordanze. E ad avvertirne il disagio sarebbero proprio alcune categorie di persone fragili, come i bambini affetti da disturbi specifici dell’apprendimento, gli anziani, gli stranieri, e così via. Si arriverebbe ad una singolare eterogenesi dei fini: per includere una minoranza, si escluderebbero altre minoranze, peraltro molto più numerose. È il solito corto circuito di tutte le ideologie che rifiutano pregiudizialmente la ragione e la logica. La cosa triste è vedere politicanti che a corto di idee, principi, visioni, si aggrappano a questi relitti ideologici, come naufraghi nel vuoto cosmico.