Su Hitler Adinolfi ha ragione!

Su Hitler Adinolfi ha ragione!

Sulla vicenda della soppressione eutanasica di Fabiano Antoniani, in arte Dj Fabo, Mario Adinolfi ha scritto un duro giudizio che io sottoscrivo parola per parola. Un giudizio che ha scatenato l’ira dei bien-pensant politicamente corretti, dei kapò della dittatura dominante, degli zeloti dell’autodeterminazione, degli impresari di quel business chiamato “dolce morte”, e delle Vestali del Pensiero Unico. Solo per aver detto che Hitler almeno la “Gnadentod”, la morte per pietà, la faceva praticare a costo zero. Si è straparlato di campi di concentramento, di internati dei lager gassati, e simili vaniloqui. La reazione scomposta ha persino portato alla chiusura temporanea della pagina Facebook del povero Mario, secondo l’ormai consolidata prassi della censura di regime.

Il punto è che i detrattori di Adinolfi non conoscono la Storia.

Nel primo trentennio del secolo scorso l’opinione pubblica tedesca era già ampliamente influenzata dal vento di quella velenosa cultura eugenetica che, peraltro, soffiava dal Regno Unito. Non è un caso che Il termine eugenetica sia stato inventato da Francis Galton, il cugino di Charles Darwin, e che proprio l’inglese Marie Stopes negli anni venti anticiperà le follie della purezza della razza e del concetto di “vita non degna di essere vissuta”, fatte poi proprie dall’ideologia nazista.

Nonostante la legislazione tedesca non lo consentisse, numerose erano, alla fine degli anni Trenta, le richieste da parte di persone interessate a porre fine ad un’esistenza ritenuta “indegna di essere vissuta”, attraverso l’eutanasia. Le domande furono tutte puntualmente respinte, fino a quando non arrivò il caso pietoso. E sì, c’è sempre un caso pietoso all’inizio del male. Quella volta l’attenzione fu rivolta ad un neonato, il “Piccolo Knauer”.

Il nome vero era, in realtà, Gerhard Herbert Kretschmar. Si trattava di un bimbo nato il 20 febbraio 1939 nella cittadina di Pomβen. Il piccolo era cieco, privo di una gamba e di parte di un braccio. I genitori di Gerhard, il signor Richard Gerhardt Kretschmar e la signora Lina Sonja Kretschmar, nella primavera del 1939, un paio di mesi dopo la nascita del neonato, chiesero al direttore della Clinica Pediatrica di Lipsia se fosse stato possibile “addormentare” il figlio attraverso un’iniezione letale. Il direttore, Prof. Werner Catel, pur essendo favorevole in linea di principio all’eutanasia, spiegò ai coniugi Kretschmar che non era possibile esaudire la loro domanda in quanto vietata dalla legge, ma suggerì che inoltrassero un’apposita istanza direttamente al Führer, attraverso la sua Cancellieria privata, il KdF (Kanzlei des Führers) diretta da Philipp Bouhler, spiegando nei dettagli il loro pietoso caso umano. Hitler ricevette l’istanza e pur essendo particolarmente colpito da quella triste storia, inizialmente nutrì qualche riserva perché si trattava di un minore e perché comunque l’eutanasia non era legale. Volle approfondire la vicenda e chiese delucidazioni ai medici della Clinica Pediatrica di Lipsia, i quali confermarono che si trattava di un caso disperato. Hitler, a quel punto, decise di inviare sul posto il proprio medico personale, il dottor Karl Brandt – di cui si fidava ciecamente – per accertare che le informazioni assunte corrispondessero a realtà.

Brandt incontrò i colleghi della Clinica, tra cui l’oculista dott. Hellmuth Unger, il pediatra dott. Ernst Wentzler, lo psichiatra infantile dott. Hans Heinze e il direttore della Clinica Prof. Werner Catel, dai quali apprese le gravissime condizioni del neonato, condizioni che potè personalmente constatare. A quel punto, aggiornato il Fuhrer sulla situazione, Brandt diede ordine di “addormentare” il piccolo attraverso l’iniezione di una dose letale di morfina.

Era il 25 luglio 1939 e Gerhard aveva cinque mesi. Per i successivi casi di eutanasia su richiesta, oltre alla morfina furono poi utilizzati anche sedativi come il Veronal, il Luminal, la Scopolamina. L’idea era quella di accompagnare “dolcemente” verso il sonno eterno.

Fu proprio il caso del “Piccolo Knauer” a convincere Hitler dell’opportunità di regolare la materia.

Così, il primo settembre 1939 il Führer in persona emise un ordine che testualmente riportava quanto segue: «Reichsleiter Bouhler und Dr. med. Brandt sind unter Verantwortung beauftragt, die Befugnisse namentlich zu bestimmender Ärzte so zu erweitern, dass nach menschlichem Ermessen unheilbar Kranken bei kritischster Beurteilung ihres Krankheitszustandes der Gnadentod gewährt werden kann. A. Hitler». Tradotto: «ll Reichsleiter Bouhler e il Dr. Med. Brandt sono incaricati, sotto la propria responsabilità, di estendere le competenze di alcuni medici da loro nominati, autorizzandoli a concedere la morte per grazia ai malati considerati incurabili secondo l’umano giudizio, previa valutazione critica del loro stato di malattia. A. Hitler». “Gnadentod”, morte per pietà, la stessa che oggi invocano tutti i sostenitori dell’eutanasia.

L’ordine di Hitler fu sottoscritto per ricevuta, il 27 agosto 1940, dal Ministro della Giustizia Franz Gürtner, che appose di proprio pugno sull’originale, la seguente attestazione: «Von Bouhler mir übergeben am 27.8.40 – Dr. Gürtner». Il Führer ha sempre richiesto che le formalità giuridiche fossero ogni volta puntualmente rispettate.

Al processo di Norimberga il Dr. Karl Brandt, durante la sua deposizione, parlò anche del caso del “Piccolo Knauer” e, tra i vari dettagli della vicenda, precisò pure che Hitler si raccomandò vivamente di agire con delicatezza soprattutto nei confronti dei genitori di Gehrard, facendo in modo che «non si sentissero responsabili per la morte del loro bambino» (Staatsarchiv Nürnberg, United States of America v. Karl Brandt et al., zitiert nach Ulf Schmidt: Kriegsausbruch und Euthanasie. Neue Forschungsergebnisse zum “Knauer Kind” im Jahre 1939). Un tocco di sensibilità inaspettato in un personaggio sinistro come Hitler.

Interessante anche la testimonianza che il padre di Gerhard diede nel 1973: «Era proprio qui. Karl Brandt era qui, in piedi vicino alla finestra. Era alto e imponente. Sembrava che riempisse tutta la stanza. Mi spiegò che il Führer lo aveva mandato personalmente, e che era molto, molto interessato al caso di mio figlio. Il Führer voleva esplorare il problema delle persone prive di un futuro, la cui vita era senza valore. Da allora in poi, non avremmo più dovuto soffrire per questa terribile disgrazia, poiché il Führer ci aveva concesso l’uccisione pietosa di nostro figlio. (…) Ecco quel che mi spiegò Herr Brandt. Era un uomo magnifico: intelligente, molto convincente. Fu per noi come un salvatore: l’uomo che poteva sollevarci di un peso molto grande. Lo ringraziammo e gli esprimemmo tutta la nostra gratitudine» (Robet Jay Lifton, 1986, The Nazi Doctors: Medical Killing and the Psychology of Genocide, New York, Basic Books; trad. it., I Medici Nazisti, Milano, Rizzoli, 1988, p. 139).

Il dottor Brandt, per conto del Führer, “sollevò” i genitori del piccolo Gerhard dal peso enorme che li affliggeva, cercò di non farli sentire “colpevoli” dell’uccisione del figlio, e non fece pagare loro neppure un Reichsmark per la dose di morfina utilizzata nell’iniezione con cui si è proceduto ad addormentare per sempre il loro neonato. Sì, da quel momento l’eutanasia su richiesta nella Germania del Terzo Reich fu sempre a carico dello stato.

Gratis e senza spese.

Ha proprio ragione Mario Adinolfi, e i suoi detrattori non conoscono la Storia.

Gianfranco Amato