Salvini-Meloni: Legalizziamo la Prostituzione!

Salvini – Meloni: Legalizziamo la Prostituzione!

Il 28 gennaio 2017 in Piazza San Silvestro a Roma va in scena una manifestazione antigovernativa. A guidarla c’è l’inedita coppia di fatto politica Salvini-Meloni. Pur non trattandosi propriamente di una folla oceanica, la stampa di regime dà ampio risalto alla notizia. Com’è noto oggi sistema e antisistema fanno parte del medesimo teatrino. Interessante, invece, è il messaggio che la piazza riesce a veicolare. “Il Sole 24 Ore”, infatti, titola significativamente: Salvini: «Legalizzeremo la prostituzione». Meloni: «L’immigrazione non è un diritto». L’incipit dell’articolo è proprio una frase letterale del leader leghista: «Il primo provvedimento che proporremo una volta al governo è la legalizzazione e la tassazione della prostituzione». Ognuno, del resto, ha le sue priorità.

La nuova coppia che si pone alla guida del centrodestra, quindi, propone di creare posti di lavoro riaprendo le case di tolleranza. Non pare davvero una grande trovata. Non so come reagirebbero la Meloni e Salvini se la propria figlia dicesse loro: «Mamma, papà, ho deciso di aprire la partita IVA e intraprendere l’attività di prostituta professionale grazie alla vostra lungimirante azione politica». Può darsi che i due leader si dichiarino felici della scelta della figlia e contenti di aver contribuito a dare una grande opportunità di lavoro ai giovani del nostro Paese. Ma ne dubito.

No, la proposta Salvini-Meloni del “papponaggio di Stato” non convince per una duplice ragione di carattere morale e pratico.

A prescindere dal fatto che esiste uno dei Dieci Comandamenti – il sesto in particolare – che condanna esplicitamente la fornicazione, il Catechismo della Chiesa cattolica al punto 2355 ribadisce quanto segue: «La prostituzione offende la dignità della persona che si prostituisce, ridotta al piacere venereo che procura. Colui che paga pecca gravemente contro se stesso: viola la castità, alla quale lo impegna il Battesimo e macchia il suo corpo, tempio dello Spirito Santo. La prostituzione costituisce una piaga sociale. Normalmente colpisce donne, ma anche uomini, bambini o adolescenti (in questi due ultimi casi il peccato è, al tempo stesso, anche uno scandalo). Il darsi alla prostituzione è sempre gravemente peccaminoso, tuttavia l’imputabilità della colpa può essere attenuata dalla miseria, dal ricatto e dalla pressione sociale».

Salvini e la Meloni, però, a questo punto potrebbero ricordarci che loro non sono cattolici, che giurano sulla Costituzione e non sul Vangelo, che il nostro Stato è laico, e che quindi del Magistero della Chiesa cattolica – con rispetto parlando – se ne impipano altamente. Giusto. Vediamo allora quali sono le ragioni di carattere “laico”, derivate anche dall’esperienza, che rendono inopportuna e improponibile la legalizzazione dei postriboli.

1) La regolamentazione non riduce il fenomeno. Nei paesi dove la prostituzione è stata legalizzata, infatti, la tratta non si è ridotta ma si è inserita nei canali istituzionali rendendo ancora più difficile liberare le donne. Anzi, il numero complessivo delle persone coinvolte è aumentato enormemente, come dimostra la Germania dove le prostitute sono triplicate, aumentando da 100.000 a 300.000 e le donne oggetto del traffico sono più che raddoppiate. La regolamentazione nasconde e non risolve lo sfruttamento. Diventa un ottimo scudo dietro cui i trafficanti si possono mascherare.

2) La prostituzione non è il mestiere più antico del mondo ma lo sfruttamento più antico del mondo. Vendere il proprio corpo lede i diritti della persona e favorisce una cultura di sottomissione e svilimento della dignità umana.

3) La legalizzazione lancia un messaggio culturale diseducativo. Rischia di far percepire come “normale” la prostituzione, specie fra i giovani e i ceti deboli, diventando una delle tante alternative tra cui scegliere per risolvere il problema del lavoro, dell’impegno lavorativo e formativo. La prostituzione evidentemente non è un lavoro e non può esservi equiparato.

4) Lo Stato non può lucrare su comportamenti illeciti e immorali. Tassare la prostituzione sarebbe come tassare le mazzette, il ricavato del contrabbando o i proventi di una rapina. Dichiarare legale quell’attività significa anche neutralizzare la necessaria lotta culturale e giudiziaria alla prostituzione da parte dello Stato e degli enti locali.

5) La tassazione di un “comportamento” legalizzato diventerebbe un pessimo alibi per i clienti che riterrebbero moralmente accettabile sfruttare a pagamento il corpo di una persona per il proprio piacere personale.

6) La legalizzazione non riduce gli abusi nei confronti delle donne. Infatti, il 60% delle prostitute che operano nei Paesi Bassi hanno subito violenza fisica, mentre il 40% delle stesse ha dichiarato di aver subito violenza sessuale. Negli Stati Uniti, l’86% delle prostitute ha dichiarato di aver subito violenza fisica dai clienti. Il 59% delle prostitute tedesche ha dichiarato che la regolamentazione non le fa sentire più sicure dalla violenza fisica o sessuale.

 7) La legalizzazione non aumenta la sicurezza sanitaria delle donne che si prostituiscono. Nello Stato di Victoria, in Australia, un cliente su cinque dichiara di voler avere rapporti sessuali non protetti. In Canada, il tasso di mortalità delle prostitute è quaranta volte superiore alla media nazionale. La prostituzione comporta effetti dannosi per la salute delle persone che la praticano, le quali sono più soggette a traumi sessuali, fisici e psichici, alla dipendenza da stupefacenti e alcool, alla perdita di autostima, così come a un tasso di mortalità superiore rispetto al resto della popolazione.

8) La legalizzazione aumenta, invece, i costi sociali a causa della diffusione delle malattie sessualmente trasmissibili nella popolazione. Molte donne, inconsapevoli mogli dei clienti, contraggono il papilloma virus e non solo l’HIV.

L’obiezione che immediatamente ti pongono, una volta ascoltate le ragioni del no alla legalizzazione, è sempre la stessa: «ma, allora, come pensi di risolvere il problema della prostituzione di strada?».

Sempre a Roma, il 28 gennaio 2017, mentre in Piazza San Silvestro si svolgeva la citata manifestazione, al Teatro Eliseo più di mille persone erano radunate per l’Assemblea Nazionale del Popolo della Famiglia. Chi ha partecipato sa che quel partito si candida a governare il nostro Paese. E quindi a dare una risposta anche al problema della prostituzione da strada. La risposta è molto semplice: «C’è una sola, concreta e attuabile soluzione al problema, ossia quella indicata e percorsa dalla Comunità Giovanni XXIII fondata dal grande e indimenticato don Oreste Benzi». Gli incredibili risultati ottenuti dall’opera della Comunità continuano a dare ragione all’intuizione del coraggioso prete romagnolo.

Il problema lo si elimina alla radice, non lo si fa incancrenire rinchiudendolo dentro le squallide stanze di un lupanare.

A differenza del duo Salvini-Meloni, il primo provvedimento sulla prostituzione che il Popolo della Famiglia adotterebbe, una volta al governo, sarebbe emanato sulle direttive delineate dal programma di protezione (1) redatto dalla Comunità Giovanni XXIII, associazione che diventerebbe interlocutore privilegiato del Governo sulla materia.

Con la benedizione spirituale di don Oreste che dal Paradiso ci regalerebbe il suo indimenticabile sorriso.

Gianfranco Amato