Non stupriamo l’Italiano!

Seicento docenti universitari e illustri accademici hanno inviato una lettera aperta al Premier Gentiloni, al Ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli e a tutto il parlamento. Il titolo della missiva non lascia dubbi circa il suo contenuto: Contro il declino dell’italiano a scuola. Tra le varie firme ci sono pure quelle di personaggi noti come Massimo Cacciari, Andrea Carandini, Fulco Lanchester, Ernesto Galli della Loggia, Ilvo Diamanti. Questo il testo della lettera:

«È chiaro ormai da molti anni che alla fine del percorso scolastico troppi ragazzi scrivono male in italiano, leggono poco e faticano a esprimersi oralmente. Da tempo i docenti universitari denunciano le carenze linguistiche dei loro studenti (grammatica, sintassi, lessico), con errori appena tollerabili in terza elementare. Nel tentativo di porvi rimedio, alcuni atenei hanno persino attivato corsi di recupero di lingua italiana.

A fronte di una situazione così preoccupante il governo del sistema scolastico non reagisce in modo appropriato, anche perché il tema della correttezza ortografica e grammaticale è stato a lungo svalutato sul piano didattico più o meno da tutti i governi. Ci sono alcune importanti iniziative rivolte all’aggiornamento degli insegnanti, ma non si vede una volontà politica adeguata alla gravità del problema.

Abbiamo invece bisogno di una scuola davvero esigente nel controllo degli apprendimenti oltre che più efficace nella didattica, altrimenti né il generoso impegno di tanti validissimi insegnanti né l’acquisizione di nuove metodologie saranno sufficienti. Dobbiamo dunque porci come obiettivo urgente il raggiungimento, al termine del primo ciclo, di un sufficiente possesso degli strumenti linguistici di base da parte della grande maggioranza degli studenti.

A questo scopo, noi sottoscritti docenti universitari ci permettiamo di proporre le seguenti linee di intervento:

– una revisione delle indicazioni nazionali che dia grande rilievo all’acquisizione delle competenze di base, fondamentali per tutti gli ambiti disciplinari. Tali indicazioni dovrebbero contenere i traguardi intermedi imprescindibili da raggiungere e le più importanti tipologie di esercitazioni;

–  l’introduzione di verifiche nazionali periodiche durante gli otto anni del primo ciclo: dettato ortografico, riassunto, comprensione del testo, conoscenza del lessico, analisi grammaticale e scrittura corsiva a mano.

Sarebbe utile la partecipazione di docenti delle medie e delle superiori rispettivamente alla verifica in uscita dalla primaria e all’esame di terza media, anche per stimolare su questi temi il confronto professionale tra insegnanti dei vari ordini di scuola.

Siamo convinti che l’introduzione di momenti di seria verifica durante l’iter scolastico sia una condizione indispensabile per l’acquisizione e il consolidamento delle competenze di base. Questi momenti costituirebbero per gli allievi un incentivo a fare del proprio meglio e un’occasione per abituarsi ad affrontare delle prove, pur senza drammatizzarle, mentre gli insegnanti avrebbero finalmente dei chiari obiettivi comuni a tutte le scuole a cui finalizzare una parte significativa del loro lavoro».

Qualche politicante che si occupa del mondo della scuola ha già storto il naso. Ha anteposto alle giustissime preoccupazioni degli illustri cattedratici, ragioni di carattere prosaico: mancano docenti, mancano strutture, mancano fondi, e via lamentando.

Il Popolo della Famiglia avrebbe, in realtà, la «volontà politica adeguata alla gravità del problema» citata nella lettera, e saprebbe, soprattutto, dovere reperire i fondi per attuare ogni idonea iniziativa in difesa della nostra lingua. Basterebbe utilizzare il fiume di denaro stanziato per tutti gli innumerevoli progetti improntati all’ideologia – tanto perniciosa quanto inutile – del politically correct, per non parlare di quelli relativi alla ancora peggiore ideologia gender.

Ebbene che i nostri bambini imparino a parlare e scrivere correttamente italiano, prima di essere indottrinati su concetti come “identità di genere”, “pari opportunità”, “fluidità di genere”, et similia. Prima che si riducano a parlare e scrivere come tanti politici oggi in auge, a cominciare dal Ministro dell’Istruzione, alla quale occorrerebbe ricordare che l’aggettivo “proprio” non si può utilizzare in prima persona. Tutti, infatti, ricordano l’oramai celebre frase pronunciata dal Ministro sull’impegno (poi non mantenuto) di sparire dalla politica in caso di sconfitta del referendum: «Io non penso alla propria sedia» http://www.huffingtonpost.it/2016/12/13/valeria-fedeli-tutti-a-casa_n_13599938.html. Ebbene, tale frase non sarebbe proprio grammaticalmente corretta. Ma sono i congiuntivi ad essere maggiormente stuprati dai nostri politici.

Il grillino Luigi Di Maio, che qualcuno già intravede come futuro premier, ci è riuscito per ben tre volte. Primo stupro: «Se c’è rischio che soggetti spiano massime istituzioni dello Stato qual è livello di sicurezza che si garantisce alle imprese e cittadini?». Qualcuno deve aver fatto notare all’onorevole lo strafalcione sul congiuntivo e il parlamentare tenta di rimediare peggiorando la situazione: «Se c’è rischio che massime istituzioni dello Stato venissero spiate qual è livello di sicurezza che si garantisce alle imprese e cittadini?».

Il congiuntivo non è proprio il suo forte. Riavvertito dell’errore, riesce a sbagliare pure al terzo tentativo di correzione: «Se c’è rischio che due soggetti spiassero le massime istituzioni dello Stato  qual è livello di sicurezza che si garantisce alle imprese e cittadini?». Nulla da fare, caso disperato. Mai però come il suo collega Stefano Fassina, ex Viceministro dell’Economia e delle Finanze nel governo Letta, con il suo clamoroso «Se si sarebbe voluto», lanciato in diretta su Rai Uno alla trasmissione “Porta a Porta”.

Ecco, il Popolo della Famiglia lancia la sua battaglia politica per difendere il congiuntivo e la lingua italiana. Ogni benemerita iniziativa in tal senso potrà essere tranquillamente finanziata con i fondi previsti per i progetti nelle scuole. Ci permettiamo di dare un consiglio al Ministro Fedeli invitandola ad ascoltare attentamente i seicento illustri accademici, a rivedere l’ordine di priorità delle istituzioni scolastiche italiane, e a spendere bene gli 830 milioni messi a disposizione dal governo per una scuola «più aperta, inclusiva e innovativa». Oggi, cara Ministro, al primo punto non c’è da porre – come Lei ha affermato – «l’identità e la parità di genere», ma molto più semplicemente «la grammatica, la sintassi e il lessico della lingua italiana». Legga attentamente la lettera che ha ricevuto da parte di quegli autorevoli mittenti.

Gianfranco Amato