Lo sgarro renziano a Mattarella

Lo sgarro renziano a Mattarella

 

Pochi si sono accorti di ciò che davvero è successo nell’iter istituzionale che ha preceduto la nomina di Gentiloni a Capo del Governo. Mi riferisco, in particolare, a quello che ben si può definire un vero sgarro istituzionale nei confronti del Presidente della Repubblica. E che ha fatto particolarmente infuriare lo stesso Mattarella. Ciò che è accaduto è semplicemente inaudito, dal punto di vista politico, istituzionale e costituzionale. Cerco di spiegarlo in maniera semplice. L’art. 92 della Costituzione prevede espressamente che «il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri». Ora, tutti sappiamo che si tratta di un mero escamotage, perché in realtà la scelta del Presidente non può prescindere dall’evoluzione politica che porta alla nascita di un governo. Però si è sempre cercato di salvare la faccia al Capo dello Stato attraverso il meccanismo della cosiddetta rosa dei nomi. Almeno si è fatto credere all’opinione pubblica che il Presidente della Repubblica avesse pur sempre una facoltà di scelta, ancorché ridotta ai minimi termini. Quello che è valso fino a ieri, non è valso più con il Pd renziano. Al povero Mattarella, infatti, è stato fornito un nome secco: Paolo Gentiloni. Take it or leave it! Prendere o lasciare. Un doppio schiaffo istituzionale al Presidente della Repubblica ridotto al rango di un semplice Segretario comunale. A lui è toccato, infatti, ratificare, in modo notarile, la decisione assunta dalla Direzione del Partito Democratico. Tant’è che qualcuno ha giustamente evidenziato che questo non è il governo del Presidente, ma il governo del Partito Democratico. Si è fatta pure dell’ironia sulla questione.

Giuseppe Povia ha diffuso una simpatica vignetta in cui siamo rappresentati entrambi e dove lui mi chiede: «il PD incarica il PD di fare un altro governo PD?», ed io rispondo: «Dopo le dimissioni del PD per il fallimento del referendum del PD…». Quella vignetta non è molto lontana dalla realtà.

Quello che Renzi ha fatto a Mattarella è un affronto che merita un posto d’onore nel museo degli oltraggi istituzionali. Il Presidente della Repubblica, però, si è adirato privatamente ma non ha mosso ciglio pubblicamente. Purtroppo, con questa poco encomiabile vicenda, la dignità delle istituzioni repubblicane del nostro Paese ha segnato il punto più basso della sua storia, tra l’indignazione del popolo che monta sempre di più fuori dal palazzo e la sprezzante impassibilità di una classe dirigente politica sempre più inetta e cialtrona. Una classe politica che sempre più richiama alla mente l’invettiva lanciata alla ormai celebre Via Crucis del 2005 dall’allora Cardinal Ratzinger: «Quante volte le insegne del potere portate dai potenti di questo mondo sono un insulto alla verità, alla giustizia e alla dignità dell’uomo! Quante volte i loro rituali e le loro grandi parole, in verità, non sono altro che pompose menzogne, una caricatura del compito a cui sono tenuti per il loro ufficio, quello di mettersi a servizio del bene comune». Concetto, quest’ultimo, che ormai sembra completamente eclissato dall’orizzonte valoriale di una classe di rappresentanti delle istituzioni che ha un unico, solo, esclusivo sogno politico: quello di sopravvivere. Una classe ridotta a caricatura di stessa, per usare le parole del monito ratzingeriano.

Torniamo alla villanata istituzionale renziana. L’ex Premier ha voluto umiliare Mattarella, con il piglio arrogante che lo contraddice, e che la dice lunga sul rispetto che l’uomo nutre verso le istituzioni e soprattutto verso la Costituzione. Pensare che uno così avrebbe dovuto mettere mano alla nostra Carta costituzionale, fa semplicemente venire i brividi. Ci ha provato, ma fortunatamente gli è andata male, perché populus locutus est. Il popolo ha parlato il 4 dicembre 2016, e si è fatto sentire.

Eccome!

 

Gianfranco Amato