L’insegnamento di Agostino d’Ippona

Oggi 28 agosto la Chiesa festeggia Sant’Agostino d’Ippona.

Io mi sono imbattuto in questo gigante del cristianesimo a sedici anni, quando nella calda estate del 1977 mi regalarono un libro su di lui. Da allora non me ne sono più staccato.

Le opere di Agostino, in realtà, continuano ad essere un’inesauribile miniera di saggezza e dottrina, cui oggi, peraltro, si può accedere anche attraverso un prezioso strumento: il sito web Augustinus.it.

Del grande vescovo africano quello che continua a stupire è l’incredibile attualità. La visione profetica e geniale del suo pensiero riesce ad illuminare anche la complessa realtà che oggi tocca vivere a noi contemporanei. Le opere di Agostino hanno qualcosa da dirci su tutto, dalla vita alla morte, dall’ambiente alla giustizia, dall’economia all’arte, dalla politica all’educazione, dalla cultura all’amicizia. Dopo millesettecento anni le sue parole mantengono una freschezza, una lucidità, una chiarezza e un’intelligenza difficilmente rinvenibili in altri pensatori lungo tutta la storia dell’umanità. Oggi davvero ci manca la luce di una simile mente.

Se fosse vivo a nostri giorni, Sant’Agostino potrebbe ricordarci evidenze oggettive che l’attuale società del pensiero debole non riesce più a cogliere, proprio perché – come lui stesso aveva profeticamente ammonito nelle Confessioni (III, 8, 16) – una società che abbandona l’«unus et verus creator et rector universitatis», ossia Dio fonte della vita, è destinata a smarrirsi completamente nell’illusione di una «falsa libertas», in cui, alla fine, non può che prevalere l’interesse particolare («amplius bonum proprium») sull’interesse universale («bonum omnium»).

Oggi il Santo Vescovo d’Ippona potrebbe ricordarci cose un tempo ovvie ed ora messe incredibilmente in discussione, come, ad esempio, il fatto che la famiglia sia una «particula civitatis», ovvero «la cellula della società e il suo principio» (De Civitate Dei, XIX 16). Potrebbe ricordarci che «prima itaque naturalis humanae societatis copula vir et uxor est», ovvero che «il primo naturale legame della società è quello tra uomo e donna (De bono coniugali, I, 1), e che «il matrimonio si chiamò così dalla radice etimologica mater» (Contra Faustum manichaeum, XIX 26). In tempi di grande confusione e ambiguità, Agostino oggi potrebbe ricordarci che «qui bene eruditi sunt in fide catholica», ossia quelli che sono bene eruditi nella fede cattolica sanno che «il matrimonio è da Dio, mentre il divorzio è dal diavolo» (In Evangelium Ioannis tractatus, IX, 2). Sempre e comunque.

Oggi Agostino, dall’alto della sua autorevole e indiscussa intelligenza, non avrebbe certo timore a proclamare la Verità per paura del giudizio umano. Sarebbe un esempio per tutti quei timidi chierici che balbettano o peggio tacciono per paura delle ritorsioni minacciate dai censori della dittatura del Pensiero Unico e dai sacerdoti pagani del Politically Correct.

No, oggi, tanto per fare un esempio, Sant’Agostino non avrebbe alcun timore a ripetere che «flagitia sodomitorum, quae sunt contra naturam, ubique ac semper detestanda atque punienda sunt», ovvero che «i vizi dei sodomiti, che sono contro natura, si devono detestare e punire dappertutto e sempre», e che «se pure tutti i popoli della terra li praticassero, la legge divina li coinvolgerebbe in una medesima condanna per il loro misfatto, poiché Dio non ha creato gli uomini per un tale uso di se stessi» (Confessiones III, 8, 15). E, in ogni caso, non si può mai mettere a rischio la società naturale attraverso la legge, «per la brama capricciosa del singolo, cittadino o straniero che sia». Anche in questo caso, non può prevalere l’interesse particolare (amplius bonum proprium) sull’interesse universale («bonum omnium»).

Oggi Sant’Agostino ci spronerebbe a lottare per la Verità contro la Menzogna, a non arrenderci di fronte al Male, a non cadere nella trappola degli angeli delle tenebre, a non scendere a compromessi col demonio, a non fare armistizi con Satana, a non cedere all’inganno di un “dialogo costruttivo” con Lucifero, e ci esorterebbe a fare tutto questo attraverso le riflessioni contenute in quel suo capolavoro intitolato Il combattimento cristiano. Ci ricorderebbe, infatti, che «corona victoriae non promittitur nisi certantibus», «la corona della vittoria non si promette se non a coloro che combattono», e alle anime belle che intendono “costruire ponti” con chicchessia, Agostino spiegherebbe che dobbiamo innanzitutto «conoscere quale sia questo avversario, vinto il quale, saremo incoronati» (De Agone Christiano, 1, 1). E ci metterebbe in guardia dal non abboccare all’amo del nemico, ammonendoci che «piscis gaudet quando hamum non videns, escam devorat», anche «il pesce è contento, quando, non vedendo l’amo, divora l’esca» (De Agone Christiano, 7, 8). Cominciamo, quindi, a chiamare le cose con il loro nome e a distinguere il bene dal male, la luce dalle tenebre, il dolce dall’amaro.

Solo riconoscendo il Nemico possiamo combatterlo.

Gianfranco Amato