La casa del Popolo della Famiglia

Esattamente dieci anni fa si svolgeva la campagna elettorale che avrebbe portato Silvio Berlusconi al governo con una solida maggioranza parlamentare.

Il programma che il Cavaliere presentò agli italiani per chiedere il loro voto prevedeva «sette missioni per il futuro dell’Italia». La seconda di queste missioni si intitolava: «Sostenere la famiglia».

Al punto 1.2 di quel capitolo si poteva leggere: «graduale e progressiva introduzione del “quoziente familiare” che tiene conto della composizione del nucleo familiare». Il quoziente familiare, com’è noto, è uno strumento di politica fiscale che nella tassazione del reddito prende in considerazione anche il numero dei membri della famiglia. Nasce da un’oggettiva esigenza di giustizia: non è equo, a parità di reddito, che un padre di famiglia con cinque figli sia sottoposto alla stessa imposizione fiscale di un single senza prole. Questo sistema, peraltro, in Francia è applicato dal 1950 e funziona perfettamente.

Pareva che, finalmente, anche l’Italia potesse adeguarsi a questa misura di equità fiscale presente negli altri Paesi europei, grazie al governo granitico e alla tetragona maggioranza parlamentare di cui godeva Silvio Berlusconi. Purtroppo, così non è stato.

Quella del quoziente familiare si è rivelata l’ennesima promessa elettorale non mantenuta.

E pensare che ci fu pure una petizione popolare sottoscritta da più di un milione di italiani. L’iniziativa fu lanciata dal Forum delle Associazioni Familiari e raccolse, per essere precisi, 1.071.348 firme.

Il settimanale cattolico “Famiglia Cristiana” il 25 maggio 2008 pubblicò un articolo di Alberto Bobbio intitolato L’ultimo appello. Un articolo dall’incipit davvero accorato: «Quelle firme pesano. Sono l’ultimo appello alla politica. Sono come un urlo conficcato nel cuore del Palazzo per scongiurare l’oblio». «Servono per chiedere qualcosa di veramente popolare», precisava Bobbio, ossia «aiuto e attenzione alla famiglia con un sistema fiscale amico di genitori e figli».

Le firme furono presentate anche al Presidente della Repubblica pro-tempore, Giorgio Napolitano, e furono depositate davanti al Quirinale. Erano racchiuse in decine di scatoloni trasportati da altrettanti pullman. Lo stesso Napolitano, poi, trasmise petizione e firme ai presidenti del Senato Schifani e della Camera Fini, con una lettera nella quale ricorda di aver già avuto occasione di sottolineare la necessità che il Parlamento affronti i temi delle politiche familiari.

Ma nonostante tutto ciò, quelle «firme pesanti», quel «ultimo appello alla politica», quel «urlo conficcato nel cuore del Palazzo», è finito nell’oblio. A Palazzo Chigi Berlusconi è stato costretto a prendere quegli scatoloni e gettarli direttamente nell’inceneritore dell’indifferenza. Piccola nota: di quel governo faceva parte anche il giovane ministro Giorgia Meloni.

Ricordo che all’epoca conoscevo uno dei tanti collaboratori di Tremonti, Ministro delle Finanze e inflessibile detentore dei cordini della borsa. Quando chiesi conto dell’incredibile mancanza di considerazione di un milione di italiani, quel mio amico, guardandomi come si guarda un ingenuo idealista, mi spiegò che il metodo decisionale utilizzato dal governo era quello del «mercato delle vacche». Una brutta ma evocativa espressione per indicare che nella sala delle riunioni del Consiglio dei Ministri ciascuna delle forze politiche rappresentate tira una coperta strettissima dalla propria parte. Fu così anche allora: la Lega per l’autonomia, Alleanza Nazionale per gli statali, Forza Italia per la defiscalizzazione, e così via. L’amico mi spiegò: «Vedi, Gianfranco, quegli italiani firmatari, anche se più di un milione, erano semplicemente degli “orfanelli”, ovvero non avevano una forza politica che li rappresentasse al mercato delle vacche». L’unico che forse avrebbe potuto farsi portatore della loro voce, tale Pierferdinando Casini dell’UDC, evidentemente barattò il tema per qualche altro vantaggio.

Costui, non a caso soprannominato anche Pierfurby, è davvero un personaggio singolarmente scaltro. In mezzo secolo ha costruito la sua brillante carriera politica proprio sul quoziente familiare, riuscendo sempre a sfruttare questo tema ai fini elettorale per poi concorrere a non farlo realizzare.

Non c’è nulla da fare: senza una forza politica strutturata e visibile che sia portatrice dei valori del Family Day noi assisteremo al consueto déjà vu. È un film già visto più volte. Berlusconi e i partiti del centro destra inseriranno per l’ennesima volta nel loro programma il quoziente familiare, per poi non realizzarlo. Esattamente come è accaduto negli ultimi ventitré anni.

Oggi, però, quel 1.071.348 di “orfanelli” (pari a poco più del 3%) hanno finalmente una casa: Il Popolo della Famiglia.

Gianfranco Amato