Gender, l’uomo rinnega se stesso

Gender, l’uomo rinnega se stesso

«Et in nullo perterriti ab adversariis». Così San Paolo esortava i Filippesi ad avere coraggio contro gli avversari, a non avere paura di proclamare la Verità anche quando è scomodo alle orecchie del potere. Anzi proprio quando è scomodo occorre gridare più forte e con maggiore convinzione.

In questa sua ultima opera l’amico Gianfranco Amato ha dimostrato coraggio.

E’ davvero preziosa questa accurata e documentata ricostruzione del tentativo di indottrinamento operato nelle scuole italiane, che stanno sempre più assomigliando a quei «campi di rieducazione e manipolazione educativa» già vissuti nelle grandi dittature genocide del secolo XX, oggi sostituti dalla dittatura del “pensiero unico”, per usare le parole di Papa Francesco.

E’ connivenza, se non addirittura complicità, il silenzio pressoché assoluto su questa teoria denominata “gender”, con la sua insana pretesa di sopprimere la differenza sessuale separandola da qualsiasi indicazione naturale, per ridurre la stessa sessualità a pura istintualità, anche attraverso la realizzazione di progetti educativi declinati secondo tale prospettiva.

Questa è una pericolosa operazione di potere, perché come ricordava il mio Maestro don Luigi Giussani «una libertà ridotta a puro parere, opinione e istintività, snerva nell’uomo la creatività produttrice di bene e lo rende schiavo dell’istinto, cioè ultimamente del potere, che in ogni epoca fissa regole e valori a seconda delle sue convenienze momentanee», mentre solo la responsabilità di un io libero è capace di rimettere in moto «la creatività, unica alternativa al dominio dell’ideologia eretta a sistema di vita, fino alla generazione di “opere” – è opera anche il fare famiglia e l’educare i figli –, che rendono più umano il tempo della storia», cioè fanno vivere più pienamente la persona.

Oggi ai giovani, invece, si pretende di insegnare che tutto è «parere, opinione e istintività», fino al punto che ciascuno ha diritto di contestare persino la propria natura, essendo ormai ridotto solo a spirito e volontà, in una logica contraddittoria, per cui «la manipolazione della natura, che oggi deploriamo per quanto riguarda l’ambiente, diventa la scelta di fondo dell’uomo nei confronti di se stesso», come ricordava magistralmente Benedetto XVI nel suo discorso alla Curia romana tenuto il 12 dicembre 2012.

E’ davvero pericolosa questa visione antropologica in cui l’uomo viene concepito solo in astratto: un essere capace di scegliere per sé autonomamente qualcosa come propria natura. E’ pericolosa questa visione, perché attraverso di essa – come ricordava sempre Papa Ratzinger – «l’uomo da soggetto giuridico a sé stante, diventa necessariamente un oggetto, a cui si ha diritto e che, come oggetto di un diritto, ci si può procurare». Quando la libertà di fare diventa libertà di farsi da sé, la conclusione inevitabile è quella di rinnegare non solo il Creatore ma anche la creatura. Così l’uomo rinnega se stesso.

Il pericolo si trasforma in vera emergenza, come ricorda bene Amato nel suo libro, quando questa rivoluzione antropologica si realizza attraverso precise iniziative didattiche nel delicatissimo campo educativo.

Attualmente nelle nostre scuole, infatti, circolano “progetti sull’educazione all’affettività e al sentimento” – ufficialmente riconosciuti dalle autorità scolastiche che dovrebbero garantire la buona scuola – in cui non solo si presentano molteplici forme di “famiglia”, ma si afferma anche l’equivalenza maschio-femmina e la compresenza nella stessa realtà personale di due tendenze sessuali che devono essere favorite, una dopo l’altra. Si tratta di aspetti di disumanità che, però, sono diventati diffusissimi, come ci dimostra Amato attraverso la sua incontestabile documentazione di quanto sta accadendo in molte scuole italiane.

Tuttavia, occorre ribadirlo, allarga il cuore e infonde speranza il risveglio di tanti genitori che si sono opposti al tentativo statalista e autoritario di assumere l’impegno dell’educazione – che per me è diseducazione – dei nostri bambini e ragazzi. Anche di questo risveglio Gianfranco Amato ci offre importanti testimonianze.

Molto ci sarebbe da dire su questa pericolosa deriva, ma un aspetto in particolare mi preme sottolineare: ancora una volta siamo di fronte all’ineludibile dilemma dell’uomo che deve scegliere tra «ea, quae Dei sunt», ed «ea, quae hominum» (Mt. 16,23).

Nella storia della Chiesa, in ogni generazione, è sempre presente questa grande sfida. È più importante pensare secondo la scienza, la tecnica, la politica o piuttosto secondo la fede?

Se si arriva a ritenere, come storicamente è stato fatto, che la scienza, la tecnica e la politica siano le espressioni autentiche della razionalità umana, la conseguenza non potrà essere che la riduzione della fede a puro sentimento, a qualcosa che si sente, si prova, assolutamente estranea alla ragione e alla vita.

Dobbiamo renderci conto che noi siamo costantemente dentro questa sfida; come Chiesa nel suo complesso, ma anche all’interno di ogni esperienza cristiana che viviamo.

«È la fede che giudica il mondo o il mondo che giudica la fede?», mi disse il grande intellettuale cattolico Jean Guitton, il quale – basandosi su questa “formula” – ha scritto il bellissimo libro Il Cristo dilacerato. Storia delle eresie e dei Concili.

Gli uomini di Chiesa, anche se non sono intellettuali, devono avvertire sulle loro spalle la responsabilità di rispondere a questa domanda che viene loro gridata dalla gente che incontrano tutti i giorni.

Gli uomini di Chiesa non possono permettersi il lusso di giudicare indifferentemente in un modo o nell’altro. Se poi decideranno di usare i criteri del mondo per giudicare la fede, diventerà per loro apparentemente più facile e tranquillo vivere, ma a quale prezzo? Essi devono avvertire sulle loro spalle il peso della domanda: «ha ragione l’ideologia o ha ragione la fede?».

Don Giussani, seguendo la grande tradizione cristiana – proprio mentre veniva fatta passare l’idea che ormai aveva vinto l’ideologia e che si doveva salvare il salvabile – ha sempre ribadito che era la fede a dover giudicare il mondo.

Ciò che dà dignità alla vita e al lavoro umano è partecipare alla missione della Chiesa, rispondere alle domande vere che l’umanità ha su di essa, dimostrare a questa umanità la forza di un amore che sa farsi carico degli uomini e, senza giudicarli, li rimette di fronte ogni volta all’annunzio della fede perché, se lo vogliono, possano aderirvi.

Non possiamo però esimerci dalla responsabilità di giudicare le culture che non nascono dalla fede, perché sono sempre – poco o tanto – riduttive dell’uomo e della sua umanità, e spesso addirittura negatrici sia dell’uno che dell’altra.

Mons. Eugenio Corecco, Vescovo di Lugano, poco prima di morire, disse a don Giussani: «Il tempo si è fatto breve». Lo diceva rispetto alla fine della sua esistenza terrena, ma don Giussani decise di dedicare gli esercizi spirituali della Fraternità di Comunione e Liberazione proprio a questo tema. Terminata la visita a Mons. Corecco, infatti, don Giussani mi disse: «il tempo si è fatto breve veramente. Utilizziamo il tempo per vivere quello che il Signore ci ha fatto incontrare, per comprenderlo sempre di più e per comunicarlo. Per questo vale la pena dare la vita».

Se non viviamo la vita con la consapevolezza che il tempo si è fatto breve, non la viviamo secondo la profondità della fede.

Non bisogna perdere il tempo, non bisogna inventarsi cose che non abbiano il rigore e la chiarezza dell’Annuncio cristiano, non bisogna farsi «sballottare dalle onde e portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina» (Ef. 4,14), non bisogna arretrare pavidi di fronte al potere, non bisogna rassegnarsi alla “inevitabile sconfitta”, non bisogna essere complici della congiura del silenzio, non bisogna assecondare con l’omissione il tentativo di introdurre un’antropologia contraria alla natura umana, non bisogna tacere di fronte all’apparente trionfo della Menzogna.

E’ questo, invece, il tempo in cui con coraggio occorre sfidare a viso aperto il volto totalitario della nuova «dittatura del pensiero unico», nella certezza che ci è stata dimostrata dalla storia, anche recente, dell’umanità: la fede ha sempre vinto nella sfida contro l’ideologia.