FAMIGLIA: CULTURA O NATURA?

Il Presidente dei Giuristi per la vita, una giornalista e scrittrice di libri che sin dal titolo invitano a sposarsi, un educatore famoso per le sue lezioni, non solo scolastiche, su Dante. Saranno loro ad affrontare un tema di quelli che fanno tremare le vene ai polsi: “Famiglia: Cultura o Natura?”. Sunodia, associazione culturale romana che da sei anni a questa parte promuove iniziative educative e culturali su temi riguardanti la famiglia, ha chiamato Gianfranco Amato, Costanza Miriano e Franco Nembrini a portare il loro rispettivo e caratteristico contributo. Amato con un excursus storico metterà in luce – partendo dalla scoperta archeologica della “Famiglia di Eulau” del 2005 in Sassonia risalenti a 4600 anni fa – l’aspetto ontologico della famiglia, ripercorrendo alcuni interessanti aspetti dell’istituzione familiare, dall’antica Grecia ai regimi dittatoriali del XX secolo (rivoluzione sovietica) fino agli eventi dei nostri giorni». Costanza Miriano affronterà il tema dell’esperienza della genitorialità e della diversità uomo/donna come elemento essenziale della famiglia, dove uomo e donna trovano uno specifico spazio relazionale tra genitori e con i figli riscoprendo in questo rapporto la verità di loro stessi. Franco Nembrini tratterà il tema dell’educazione per precisare i contenuti, lo scopo e l’esperienza della famiglia. In tale esperienza l’esito non è mai scontato sebbene il rapporto educativo tra genitore/figlio appaia un binomio inscindibile e necessario. Infatti la condizione di libertà in cui si trovano i figli determina quel “rischio educativo” che fa parte della dinamica genitori-figli all’interno della famiglia.

Premesso ciò, la risposta alla domanda della conferenza è che la famiglia uomo-donna-figli è sia natura che cultura. Il matrimonio monogamico è natura nel senso che risponde alle esigenze più profonde degli esseri umani, è cultura perché è il prodotto del lungo cammino di civilizzazione dell’umanità, che ha la sua svolta decisiva nell’istituzione del matrimonio cristiano e della relativa famiglia. Joseph Raz, filosofo del diritto di origine israeliana, ha scritto che «la monogamia, ammesso che rappresenti l’unica forma valida di matrimonio, non è alla portata dell’individuo. Per poterla vivere, essa richiede una cultura che la riconosca e che la sostenga attraverso l’attitudine dell’opinione pubblica e delle istituzioni».

La Costituzione italiana definisce la famiglia «una società naturale fondata sul matrimonio». Parole sacrosante. Quando parliamo di famiglia naturale, di società naturale, parliamo di istituzioni che rispondono alla natura dell’uomo, che interpretano cioè la più profonda essenza dell’essere umano, che rispondono ai più veri desideri del cuore. Proprio per questo loro grande valore, non sono facili da creare e da mantenere in vita: hanno bisogno di un largo consenso culturale e del sostegno della legge. Il matrimonio monogamico eterosessuale con promessa di mutua fedeltà ed assistenza è allo stesso tempo un’istituzione naturale e il frutto di un’evoluzione antropologica molto lunga ed impegnativa. È un’istituzione naturale perché risponde al desiderio umano di amore vero. L’amore vero è dono totale ed esclusivo di sè all’altro e affidamento senza riserve di sè all’altro. Il matrimonio monogamico è la versione istituzionale di questo genere di amore, che non è veramente un genere fra gli altri, ma è l’Amore umano con la A maiuscola. Però il matrimonio monogamico eterosessuale è anche il prodotto di una lunga evoluzione culturale, perché cronologicamente appare molto tardi nella storia dell’umanità, effettivamente dopo l’avvento del cristianesimo, e anche oggi è relativamente raro.

I vantaggi sociali della famiglia fondata su questo tipo di matrimonio sono noti: riguardano la posizione della donna nella società e l’educazione dei figli. Nella famiglia poligamica la donna è una proprietà, in quella monogamica è una persona. Nelle società dominate dalle famiglie monoparentali, dove la donna da sola cresce i figli in assenza del padre, che ha rifiutato il matrimonio o ha abbandonato il focolare domestico –una situazione generalizzata nell’Africa urbanizzata e in America latina- i figli crescono con una grande debolezza psicologica e spesso fragilità fisica.

Fenomeni analoghi li intercettiamo anche nei paesi industrializzati. Essendo gli Usa il paese che ha anticipato tutti i fenomeni di dissoluzione della famiglia e di sostituzione di essa con altre forme di unione, è anche il paese che ha potuto meglio studiare gli effetti negativi di essi, disponendo ormai di una mole considerevole di dati raffrontabili. Schiere di sociologi hanno appurato che i figli delle coppie di fatto hanno più facilmente disordini emotivi e comportamentali dei figli delle coppie sposate: asocialità, depressione, difficoltà di concentrazione; e i loro genitori non se la passano meglio: il tasso di violenza domestica è più alto fra le famiglie di fatto che fra quelle regolari, e l’incidenza della depressione è molto più alta fra i conviventi che fra gli sposati. I figli dei conviventi hanno in media risultati scolastici più scadenti di quelli delle coppie sposate e vivono maggiormente in povertà. Essi inoltre hanno maggior probabilità di sperimentare la rottura della loro famiglia di quanta ne abbiano i figli di persone sposate. Le coppie di conviventi hanno maggiori probabilità di sperimentare problemi di comunicazione col partner, bassi livelli di fedeltà coniugale e alto rischio di divorzio. Un partner convivente ha tre volte più probabilità di soffrire di depressione di quante ne abbia una persona sposata e due volte più probabilità di manifestare comportamenti aggressivi.

La famiglia naturale basata sul matrimonio monogamico produce una qualità della vita umana, un “capitale sociale”, che le altre forme di convivenza non producono e tanto meno conservano. Per questa ragione le leggi dello Stato dovrebbero tutelarla, promuoverla e riservarle un trattamento speciale. E gli intellettuali ed i mass-media dovrebbero occuparsi di tenerne alto il prestigio presso l’opinione pubblica e di giustificare i privilegi di cui la legislazione la fa oggetto.

Rodolfo Casadei