Don Oreste: Devozione e Rivoluzione!

Non c’è niente da fare, a dieci anni dalla sua scomparsa il grande don Oreste Benzi ci manca davvero.

Rileggevo, giorni fa, il suo intervento tenuto a Pisa nella discussione assembleare della 45ma Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, quell’anno dedicata al tema «Il bene comune: problemi e nuove prospettive per l’economia e la politica». Era la mattina del 19 ottobre 2007, tredici giorni prima della sua morte avvenuta nella notte fra il primo novembre, solennità di Tutti i Santi e il 2 novembre, Commemorazione dei Defunti.

Quella mattina intervennero relatori del calibro di Bruna Costacurta, Docente di Esegesi biblica alla Pontificia Università Gregoriana, Stefano Zamagni,  Ordinario di Economia politica all’Università di Bologna e membro del Comitato scientifico organizzatore delle Settimane Sociali, Leonardo Becchetti, Ordinario di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata, Luigino Bruni, Professore di Economia politica all’Università di Milano-Bicocca e vicedirettore del Centro interdisciplinare e interdipartimentale – Ciseps nonché membro dell’Istituto superiore di cultura Sophia di Loppiano (FI), Giorgio Vittadini, Ordinario di Statistica all’Università di Milano-Bicocca e presidente della Fondazione per la Sussidiarietà. Questi alcuni titoli delle relazioni: «Il bene comune nell’era della globalizzazione», «Il bene comune nella società post-moderna: proposte per l’azione politico-economica», «bene comune: un incontro appena incominciato», «bene comune e globalizzazione». Un’erudita sfilata di dotte disquisizioni accademiche.

Seguì, poi, il dibattito assembleare nel corso del quale prese la parola don Oreste. Fu un intervento magistrale!

Parlò con la schiettezza e la simpatica impertinenza che lo contraddistingueva, e che molti gli invidiavano. Questo l’esordio del “prete dalla tonaca lisa”: «Mi chiedevo mentre ascoltavo gli splendidi oratori: ma come realizzare il bene comune? Io ho visto, penso e credo che il nemico – perdonate la parola – del bene comune è… siamo noi cattolici. In che senso? Ovunque ci si gira si è persa, si è sbriciolata e poi scomparsa la coscienza di essere popolo, popolo di Dio, con una missione di salvezza da portare». Spiegava, infatti, don Benzi che «l’interesse di partito, l’interesse del potere, l’interesse delle stanze dei bottoni e tutto ciò che è collegato a esso è diventato la coscienza pratica ed attuativa», determinando così il «tradimento della rivoluzione cristiana, come dice Benedetto XVI, della rivoluzione di Dio». La causa di questo tradimento per don Oreste era una sola: «la mancanza di una strategia comune da portare avanti». Lui denunciava il fatto che «ogni realtà, ogni gruppo ecclesiale, ogni parrocchia, ogni movimento» navigasse a vista in maniera disordinata e disorganica senza una rotta, un piano, una strategia, appunto.

Continuava don Oreste nel suo intervento: «Dice bene Seneca che il vento favorevole a poco giova, se il marinaio non sa dove andare. E quando la barca sta troppo ferma corre il rischio di affondare. Per inerzia, per una legge interna, dell’inutilità». Senza un piano, una visione, una strategia si è destinati all’insignificanza e all’inutilità.

E poiché al prete romagnolo non mancava certo il senso della concretezza, per farsi capire meglio fece tre esempi: aborto, prostituzione, carcere. Sul primo affermò: «Oggi, mentre siamo qui, cinquecento bambini, in media, vengono sgozzati e uccisi. Omicidio premeditato, voluto, in Italia. 180mila l’anno. Ma queste creature urlano, e il grido loro sale a Dio. Mentre si sta vicino a Dio questo grido lo si sente, ma se non lo si sente, vuol dire che qualcosa c’è da rivedere nel nostro rapporto con Dio e con i fratelli. Non posso dare indirettamente il mio permesso; chi tace – ma non è un tacere con la parola soltanto – chi tace con i fatti è complice del delitto. Le nostre mani – si voglia o no, anche se dà fastidio – grondano sangue».

Sul secondo esempio queste furono le sue parole: «100mila donne sono tenute sotto sfruttamento in Italia. Non ascoltate quel che dicono, che sono libere. Vorrei portarvi tutti sulla strada, portare almeno due donne in casa ad ognuno di quelli che sostengono che sono libere. Vergogna! E allora io dico: perché viene mantenuto un massacro, un orrore simile? Non si vuol perdere il voto di dieci milioni di cosiddetti clienti. Mi diceva un pezzo grosso, grossissimo (siccome abbiamo fatto una proposta di legge di iniziativa popolare): chi vuole che glielo approvi, padre?  Qual è quel partito che è disposto a perdere anche un solo voto? E io ho detto: siete dei prostituti politici. Date le dimissioni e andatevene. Non potete fare questo, la dissacrazione. Perché non viviamo noi la visione dell’autorità come ce la dà Gesù, che è la via e la rivoluzione, perché unifica il popolo?  Voglio dire: in quattro o cinque mesi si potrebbero liberare tutte le centomila schiave. Perché non lo si fa? Il vento favorevole poco giova se il marinaio non sa dove andare. E noi dobbiamo evitare quel rischio terribile».

Sul terzo esempio don Oreste tuonò così: «Perché non guardiamo le carceri? Lo sapete, si stanno riempiendo di nuovo. Ebbene, ma perché? Perché c’è una non coscienza nel popolo cristiano. Questa gente, ventiseimila persone, che è uscita, ma dove va? Il popolo cristiano apre la casa, le braccia e vive insieme con loro? No, fa le settimane sociali».

E poi la grande esortazione: «È arrivata l’ora dell’azione. No, meglio, della concretezza. Oggi occorrono strategie comuni da attuare, ognuno nel dono carismatico che ha, ma dobbiamo vedere i fatti, la gente si sente tradita tutte le volte che ripetiamo le parole di speranza, ma non c’è l’azione. Cos’hanno lasciato i cattolici? Permettetemelo: hanno lasciato la devozione. Devozione che è unione con Dio-Amore, che è validissima, ma la devozione senza la rivoluzione non basta, non basta. Soprattutto le masse giovanili non le avremo mai più con noi, se non ci mettiamo con loro per rivoluzionare il mondo e far spazio dentro. Ma il vento è favorevole, perché il cuore dei giovani, ve lo dico – e non badate alle cassandre – oggi batte per Cristo.  Però ci vuole chi senta quel battito, chi li organizzi e li porti avanti in una maniera meravigliosa».

Poi la proposta conclusiva: «Perché non individuiamo in Italia dei target da raggiungere? I nostri vescovi li dicano e la Chiesa li indichi. E poi tutti insieme portino il resoconto.  E alle settimane sociali raccontiamo il cambiamento avvenuto, la trasformazione». E, da ultimo, il grande auspicio finale: «Ecco, io vorrei che fossimo un cammino di popolo. È la grande ora della Chiesa. Questo è il kairos, il tempo dell’intervento di Dio è giunto, il vento è favorevole, però bisogna dare una mossa creativa».

Ha ragione don Benzi. Una politica che non è capace di dire no alla piaga dell’aborto, che non sa eliminare la schiavitù della prostituzione, che non riesce a risolvere la vergogna del sistema carcerario italiano, non è una politica degna di questo nome. Noi abbiamo imparato la lezione del grande don Oreste. Abbiamo capito che occorre un piano, una visione, una strategia e da questa consapevolezza è nato il Popolo della Famiglia, l’unico movimento politico che – sfidando l’impopolarità – ha il coraggio di dire no alla legge sull’aborto, e non ha paura di prospettare proprio la grande intuizione di don Benzi, come soluzione concreta alla tragedia umana della prostituzione e al degrado dei penitenziari italiani.

Può darsi che la nostra non sia la migliore strategia del mondo, ma è pur sempre una strategia. E un giorno potremo dire, a testa alta, che noi almeno abbiamo avuto il coraggio di passare dalla devozione alla rivoluzione.

Grazie don Oreste!

Gianfranco Amato