Da che pulpito vien la predica!

È partita una strana campagna denigratoria a carico di leader, dirigenti e candidati del Popolo della Famiglia.

Qualcuno si è improvvisato analista di laboratorio per passare al vaglio l’esame del sangue e delle urine di questi leader, dirigenti e candidati. Qualcun altro si è improvvisato investigatore ed è andato a spulciare il passato prossimo e persino il trapassato remoto dei poveri indagati. In un caso, pensate, persino una fotografia scattata con Sergio Mattarella alla fine degli anni ’90 del secolo scorso è stata sbandierata come evidente prova di intelligenza col nemico. Sul piano personale, poi siamo al puro sciacallaggio mediatico. In particolare per quanto riguarda il Presidente del Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi.

La cosa tristemente singolare è che questa campagna denigratoria non conosce fronti.

Si tratta, infatti, di un attacco a tutto campo sul fianco sinistro, su quello destro, su quello centrale e sulla retroguardia. Senza contare, ovviamente, l’immancabile fuoco amico.

E pensare che molti di coloro che si ergono a scrutatori del passato dei poveri piddieffini sono sfegatati attivisti o addirittura candidati di alcuni partiti come, ad esempio, la Lega (ex)Nord, Fratelli d’Italia, Movimento Cinque Stelle e Forza Italia.

A costoro mi permetto sommessamente di consigliare una maggiore attenzione nel valutare il passato politico e personale degli avversari. C’è sempre il rischio che qualcuno vada a vedere il loro o quello dei loro leader.

Se volessimo, infatti, partecipare al gioco al massacro dei censori dal pulpito, allora potremmo dire, per esempio, che Matteo Salvini, il leader della Lega, si è sposato nel 2001 con una giornalista pugliese con cui ha avuto un figlio nel 2003, e da cui ha divorziato per andare a convivere con un’altra donna che, nel dicembre 2012, gli ha donato un’altra figlia. Oggi Salvini è felicemente convivente con la terza donna della sua vita, la conduttrice televisiva Elisa Isoardi, ed è felice papà di due bimbi avuti con due donne diverse. Ora si comprende, peraltro, perché Matteo il 27 febbraio 2015, ai microfoni di Radio Radicale, si sia dichiarato un convinto sostenitore del cosiddetto «divorzio breve». Dal punto di vista politico, poi, io mi ricordo molto bene quando Salvini in gioventù frequentava il centro sociale Leoncavallo di Milano, esperienza che ha segnato profondamente la sua indole sinistroide.

Ricordo, infatti, che è stato proprio lui il fondatore e leader dei Comunisti Padani, e che nelle elezioni del “Parlamento della Padania” del 1997, lui era candidato come capolista della corrente dei Comunisti Padani, la quale ottenne cinque seggi su 210. Dico questo non per esprimere un giudizio personale, ma solo per ricordare a qualcuno di guardare prima la trave nel proprio occhio, e poi la pagliuzza nell’occhio degli altri.

Se ci mettessimo a giudicare, poi, potremmo anche dire qualcosa su Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d’Italia, infatti, ha avuto una figlia da Andrea Giambruno, autore televisivo di Mediaset, con il quale convive felicemente. Ha deciso, comunque, di non sposarsi neppure col rito civile in Comune. Ricordiamo, inoltre, che dal punto di vista politico Giorgia si è formata tra i “camerati” del Fronte della Gioventù, il movimento di destra dove ci si salutava goliardicamente con il braccio destro alzato. Cosa che, peraltro, solo un idiota potrebbe considerare reato. Dico questo – ripeto – non per esprimere un giudizio personale, ma solo per ricordare a qualcuno di guardare prima la trave nel proprio occhio, e poi la pagliuzza nell’occhio degli altri.

Si potrebbe dire qualcosa anche su Luigi di Maio. Il candidato premier del Movimento Cinque Stelle, in realtà, non ha alcun passato. Dietro di lui c’è un vuoto professionale e politico. Un buco nero. Beh, ad essere proprio precisi un piccolo passato politico ce l’ha anche lui.

Breve, ma intenso. Nel 2010, infatti, Di Maio si è candidato come consigliere nel suo Comune di Pomigliano d’Arco e ha ottenuto cinquantanove (59) preferenze, senza risultare eletto. Solo in seguito alle cosiddette “elezioni parlamentarie” del Movimento Cinque Stelle è stato candidato on line con centoottantanove (189) preferenze, ed eletto nel 2013 alla Camera dei deputati per la circoscrizione Campania 1, al secondo posto nella lista dello stesso Movimento. Un record, però, ce l’ha anche Di Maio: il 21 marzo 2013, con 173 voti è eletto vicepresidente della Camera dei deputati, il più giovane della storia della Repubblica a ricoprire tale carica. Dico questo – ripeto – non per esprimere un giudizio personale, ma solo per ricordare a qualcuno di guardare prima la trave nel proprio occhio, e poi la pagliuzza nell’occhio degli altri.

Una caratteristica accomuna tutti i tre giovani leader Salvini, Meloni e Di Maio: quella di non aver mai avuto un lavoro o una professione che consentisse loro di mantenersi, e quella di non aver mai completato gli studi universitari. Senza lavoro e senza laurea. È l’immagine delle nuove generazioni italiane. A proposito, visto che nel 2008 Matteo Salvini dichiarò: «Prima la Padania libera della mia laurea», dobbiamo concludere che non lo vedremo mai più con la corona d’alloro in testa.

Per Silvio Berlusconi il discorso è un po’ diverso. Anche per una questione generazionale. Lui non solo si è laureato ma ha pure dimostrato di sapersi realizzare professionalmente. Anche se gli è stato revocato per indegnità il titolo di Cavaliere del Lavoro, per gli italiani lui resta e resterà sempre “il Cavaliere”. Dobbiamo, però, riconoscere che molte delle sue fortune sono nate nella fase degenerata del craxismo italiano, quella della torbida commistione tra politica e affari. Sia chiaro, io considero Craxi uno statista – forse l’ultimo vero statista del nostro Paese –, ma anche la sua carriera politica ha subito un’evoluzione negativa ed una parabola discendente.

Sulla tumultuosa vita sentimentale e matrimoniale di Silvio Berlusconi stendiamo un velo pietoso, non foss’altro che per rispetto della sua veneranda età di ottantun anni. Del resto, tutto è arcinoto della sua ars amatoria, persino i dettagli più personali e poco edificanti. Dico questo – ripeto – non per esprimere un giudizio personale, ma solo per ricordare a qualcuno di guardare prima la trave nel proprio occhio, e poi la pagliuzza nell’occhio degli altri. Io, poi, sono particolarmente refrattario a giudicare il prossimo, anche perché sono convinto che col metro con cui giudico sarò, un giorno, giudicato.

Allora, forse è meglio per tutti lasciar perdere passato politico e personale di chi oggi intende formulare una proposta politica per il nostro Paese. Non mi interessa chi siano stati o cosa abbiano fatto vent’anni fa Salvini, la Meloni e Di Maio. Né mi interessa la loro attuale situazione personale riguardo i rispettivi partner. Ciascuno risponde alla propria coscienza e a Dio, se ci crede. Quello che interessa me – e dovrebbe interessare tutti gli italiani – sono le concrete proposte politiche che oggi questi tre formulano per il futuro dell’Italia. Allora, parliamo di legalizzazione della prostituzione, di “divorzio lampo”, di vaccini obbligatori, di quoziente familiare, di obiezione di coscienza sull’eutanasia, di reddito di maternità, di legge sull’omofobia, di legalizzazione delle cosiddette “droghe legger”, eccetera.

Il Popolo della Famiglia lancia pubblicamente questo appello: «A noi non interessa chi sei stato e da dove vieni. A noi interessa chi sei oggi e dove vuoi andare». Se l’obiettivo è comune, se gli ideali sono sinceramente condivisi, se il progetto politico è convintamente abbracciato, allora tutti possono fare con noi un tratto di strada comune per il bene del nostro Paese. Indipendentemente dal loro passato personale e politico.

Allora, prima di giudicare leader, dirigenti e candidati del Popolo della Famiglia consiglio caldamente due spunti di riflessione: uno per i laici ed uno per i cattolici. Ai laici suggerisco di ricordarsi dell’ormai celebre regola di Pietro Nenni: «Se fai la gara a chi è più puro, troverai sempre uno più puro che ti epura». Ai cattolici, invece, ricordo di stare attenti alla “sindrome del fratello maggiore”, e di rileggere attentamente il quindicesimo capitolo del Vangelo di Luca, versetti da undici a trentadue.

Questo non vale solo per Mario Adinolfi.

Vale per tutti.

Gianfranco Amato