BUON GAY PRIDE!

Non ho mai visto nulla di più triste e patetico in vita mia. Quasi peggio dell’autodafé planetario di Guido Barilla, costretto a cedere difronte alla minaccia di boicottaggio da parte della potentissima lobby omosessualista. A proposito, c’è chi sostiene che quella lobby non esisterebbe, e che sarebbe soltanto una fantastica invenzione degli “omofobi”. Peccato che questa fantastica invenzione, però, sia riuscita a condizionare una multinazionale come Barilla S.p.A. (8.300 dipendenti) con il suo fatturato annuo di più di tre miliardi di euro. Mica male per essere una fantasia.

No, quello che mi ha intristito fino quasi al limite della depressione, questa volta, è stato il video con cui il premier britannico Theresa May ha espresso i propri auguri per il Gay Pride che si è svolto a Londra lo scorso luglio. L’amica che me lo ha inviato dall’Inghilterra mi ha avvisato: «Sit carefully while you watch this!». E io, dandole retta, mi sono tranquillamente seduto prima di vederlo. Meno male.

Theresa May recita un copione con una voce che non poteva essere meno convinta e convincente di quella che ha usato. A tratti pare persino spaventata. Cosa non si deve fare per raccattare qualche scampolo di voto! Parafrasando George Osborne, l’ex ministro delle finanzia britannico, Theresa May è sembrata nel video un «cadavere parlante». Ora, che la consistenza politica della May fosse simile a quella del borotalco, non era un mistero per nessuno. Sembra il clone femminile perfetto del nostro evanescente Paolo Gentiloni. Due nullità. Nessuno, però, avrebbe potuto immaginare che la povera Theresa sarebbe scesa tanto in basso da prestarsi ad una simile messinscena. Guardare per credere.

La May comincia il suo discorso nel più banale dei modi: «Voglio augurare a tutti una meravigliosa giornata al Gay Pride di Londra». Poi spiega che «il Gay Pride unisce la gente attorno ad un evento gioioso che celebra i nostri valori di libertà, tolleranza ed uguaglianza», e che «si tratta di una manifestazione vivace della diversità che rende Londra una delle più grandi città del mondo». Precisa anche che «nel suo profondo questa iniziativa attiene ad una cosa molto semplice: l’amore». «Quest’anno, infatti», continua Theresa, «il titolo scelto per l’evento è: “L’amore è qui”», e per la stessa May «è difficile immaginare un titolo più appropriato di questo», perché «esso rappresenta perfettamente il calore di questa splendida città e della sua gente». Immancabile, poi, l’appello all’unità: «Ogni volta che noi siamo chiamati ad affrontare sfide o difficoltà, come singoli individui, come comunità o come nazione, abbiamo un solo modo per superarle, ossia quello di stare insieme, uniti in un reciproco rapporto di aiuto e solidarietà». Che c’entra il Gay Pride con questo? Lo spiega subito il premier: «Per molti anni la comunità LGBT+ ha dimostrato quanto ciò sia vero». Quasi comica, tra l’altro, l’enfasi con cui la poveretta sottolinea il «più» dopo la sigla LGBT, escamotage utilizzato per non aggiungere tutte le lettere dell’alfabeto ormai insufficienti ad elencare i settantadue generi riconosciuti nel Regno Unito.

Poi, la nostra Theresa tiene ad evidenziare l’importanza particolare del Gay Pride londinese 2017: «Quest’anno ricorre il cinquantesimo della depenalizzazione delle leggi contro l’omosessualità che erano in vigore in Inghilterra e Galles. Si tratta di un cambiamento storico che, come tanti altri, è frutto del coraggio e della determinazione di generazioni di persone LGBT+, che hanno lottato per cambiare l’opinione prevalente ai loro tempi, guadagnandosi i diritti ed il rispetto che avrebbero dovuto sempre meritare. Questo anniversario ci mostra quanto sia progredita la nostra società, ma ci ricorda anche quanto ancora resti da fare». Sì, perché la May tiene a precisare: «Nel mondo esistono ancora leggi crudeli e discriminatorie, alcune fondate proprio sulle stesse leggi che noi abbiamo abolito cinquant’anni fa».

Da qui la velleità di assurgere a paladini mondiali della sodomia, esportando in tutte le culture l’ideologia omosessualista, con quella operazione che più volte i vescovi africani hanno denunciato come «colonizzazione ideologica». Afferma, infatti, la nostra Theresa: «il Regno Unito ha la responsabilità, quindi, di battersi per questi nostri valori e di promuovere i diritti delle persone LGBT+ a livello internazionale, ecco perché noi continueremo a lottare per i diritti umani ai massimi livelli politici, e a combattere direttamente i governi che criminalizzano l’omosessualità o praticano violenza e discriminazione contro le persone LGBT+». Nel fondo dell’anima questi isolani restano sempre colonizzatori e razzisti. In ogni caso, la May farebbe bene a dare una ripassatina al testo della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, perché così potrebbe verificare che come non esiste un “diritto umano” all’aborto o all’eutanasia (tanto per restare in tema dei “valori” britannici che si vorrebbero esportare nel mondo), non esiste neppure un “diritto umano” per coloro che pretendono semplicemente di raggiungere l’orgasmo sessuale attraverso pratiche fisiologicamente contro natura, dato nel corpo umano esistono orifizi strutturati per espellere ed orifizi strutturati per ricevere. La natura non è stata discriminatoria nel prevedere un organo per la defecazione ed un organo per la procreazione.

Ma nel Paese di Chesterton oggi occorre accendere fuochi e sguainare spade per dimostrare che due più due fa quattro e che le foglie sono verdi d’estate. Dopo più di cento anni, questa profezia lanciata dal grande scrittore inglese nel 1905 con suo libro Heretics, si è avverata.

Tornando alla nostra cara Theresa, e ascoltando la sua voce intimorita, scopriamo poi una cosa che ha davvero dell’incredibile. Afferma, infatti, la poveretta: «Anche qui nel nostro Paese dobbiamo continuare a lavorare per una vera eguaglianza e il rispetto per tutti i diritti in ogni angolo del Regno Unito. Dobbiamo cacciare il bullismo omofobico dalle scuole, e punire i delitti di omofobia e transfobia. Abbiamo bisogno di fare tutto quello che possiamo per costruire un Paese che opera per tutti, dove chiunque, con la propria storia, sia libero di essere se stesso, e valorizzare in pieno le potenzialità di tutti». In un Paese dove il politically correct ha raggiunto il parossismo, dove l’ideologia omosessualista ha ormai preso il sopravvento, dove si dovrebbe, semmai, cominciare a parlare del fenomeno della “eterofobia”, e dove la libertà religiosa è a rischio, la nostra Teresa ci avverte che la dittatura del Pensiero Unico continuerà imperterrita a sfornare e applicare leggi liberticide per punire reati di opinione. Nella migliore tradizione di tutti i regimi totalitari della storia dell’umanità. Conclusione del discorsino del premier: «Quindi, Londra ancora una volta manda con orgoglio un messaggio positivo al mondo intero. Auguro a tutti voi un fantastico Gay Pride!».

E pensare che Theresa May sta indegnamente ricoprendo il posto che fu di Sir Winston Leonard Spencer Churchill, detto Winnie, colui che tra, lacrime e sangue, riuscì a far sopravvivere la Corona inglese arrestando l’avanzata teutonica, e a vincere la guerra. Se al suo posto ci fosse stata Theresa oggi in cima al Bing Ben, forse, sventolerebbe la bandiera con la croce uncinata, e la Gran Bretagna sarebbe solo una sottomessa provincia del Großgermanisches Reich.

Se oggi fosse vivo Winstor Churchill, invece, quello che avrebbe da dire sul Gay Pride sarebbe semplicemente irriferibile. Dicono che quando gli parlarono della tradizione della marineria britannica, la gloriosa Royal Navy, lui rispose: «Don’t talk to me about naval tradition. It’s nothing but rum, sodomy, and the lash». Solo rum, sodomia e frustate. Pare che l’attribuzione non sia certa ma conoscendo il caratteraccio del vecchio Winnie, non è assolutamente improbabile. Altri tempi, altre tempre.