BABY-SHARING

La rivoluzione antropologica che sta devastando la società occidentale ha coniato un neologismo: co-parenting. Un’ulteriore picconata al concetto di famiglia naturale. L’idea è quella di consentire ad un uomo ed una donna, che non hanno nessuna relazione tra di loro, di fare un figlio da gestire in comune per dividere costi e responsabilità. In questo modo si appaga il desiderio di genitorialità senza troppo problemi. Il fenomeno è esploso in Germania dove prolificano queste nuove figure di “genitori” biologici che condividono il compito di educare il proprio figlio al cinquanta per cento, senza essere legati da una relazione affettiva. In pratica, si tratta di essere genitori senza essere una coppia. O, come dice qualcuno, assomigliare ad una coppia divorziata in ottimi rapporti. Il punto è che questo singolare modo di diventare genitori sta dilagando nel mondo omosessuale. Sono sempre più numerosi, infatti, i casi di bambini con una madre lesbica ed un padre gay. Il rapporto sessuale tra i due è semplicemente finalizzato a generare il figlio che viene allevato ed educato da entrambi, nonostante il fatto che essi continuino a convivere con i rispettivi partner omosessuali: la mamma con la compagna lesbica e il padre con il compagno gay. I sostenitori del co-parenting affermano che, in questo caso, i bambini si abituano presto a dividere le proprie giornate e che, senza la “complicazione” della relazione sentimentale, il bambino cresce meglio passando tranquillamente dai giorni trascorsi con le due mamme a quelli vissuti con i due papà. Ci si è messa anche una specialista dell’infanzia, la dottoressa Sabine Walper, a spiegare che l’assenza di amore tra i genitori non è necessariamente un problema: «Un bambino deve innanzitutto sentirsi desiderato. È più importante che il bambino percepisca questo piuttosto di sapere se i suoi genitori si sono amati e quanto si sono amati».

Da anni ci ossessionano ripetendo in tutte le salse che un uomo e una donna, ossia un padre ed una madre, non sono necessari per allevare un bambino perché quello che conta sarebbe l’amore, l’affetto, il sentimento, tutte cose che sarebbero in condizione di offrire anche le coppie omosessuali. Ora scopriamo, invece, che non è così. La seconda tappa di questa delirante escalation sarebbe che l’amore e il sentimento non servono: ciò che conta è che il bambino sia semplicemente desiderato. Anche se i genitori sono, dal punto di vista sentimentale, due perfetti estranei. La tragedia è che in Germania sono già migliaia i bambini allevati in questa maniera.

Purtroppo, il fenomeno si sta diffondendo, anche se in maniera sommersa, pure in Italia con il nome di co-genitorialità. Nel nostro Paese il primo sito dedicato a queste “famiglie” alternative si chiama www.co-genitori.it e conta, ad oggi, quasi 100.000 iscritti. È sufficiente registrarsi e la rete poi metterà in collegamento i genitori o futuri genitori che desiderano crescere un bambino. Il sito non si rivolge solo agli omosessuali, che non possono avere dei bambini se non attraverso tecniche di procreazione assistita o uteri in affitto, ma a tutti coloro che non desiderano vivere in coppia per altre ragioni.

Il sito spiega che la co-genitorialità si realizza quando due o più persone decidono di crescere un bambino senza essere sentimentalmente coinvolte: «i co-genitori lavorano come una squadra, condividendo tutte le responsabilità e i diritti nei confronti dei propri figli. Tutte le decisioni importanti (educazione, salute, principi ecc.) relative al proprio bambino devono essere prese congiuntamente». Alla domanda sul perché allevare il figlio attraverso una tale modalità, il sito www.co-genitori.it dà questa interessante risposta: «Oggi, l’età media della prima gravidanza è molto più alta rispetto a qualche decennio fa. Al giorno d’oggi, molte donne hanno un bambino una volta superati i 35 e anche i 40 anni di età. Uno dei motivi per rimandare la gravidanza è che molte donne non hanno un partner e/o non si sentono finanziariamente abbastanza sicure per avere un bambino da sole». Meglio, quindi, trovare qualcuno con cui dividere oneri e onori. Si spiega anche il motivo del successo di tale formula: «La crescente popolarità della co-genitorialità può anche essere spiegata dal fatto che crescere un bambino può esercitare una grande pressione su una relazione di coppia, e lo stress a volte può anche portare a una separazione o a un divorzio. Questi tipi di contesti stressanti possono destabilizzare i bambini. Coloro che hanno sperimentato il divorzio dei propri genitori sono quindi preoccupati che dare inizio a una famiglia con il proprio partner abbia il potenziale per finire in una separazione difficile che sarà quindi dura da gestire per il bambino. Pertanto, restare amici piuttosto che essere innamorati permette loro di evitare molte delle questioni relative alla separazione. Il rispetto e il sostegno reciproco sono resi più semplici da stabilire e, quindi, è più semplice garantire il benessere del bambino». Sì, c’è scritto proprio così.

Del resto, nel periodo di crisi che stiamo vivendo la riduzione dei costi diventa un imperativo morale. Ecco perché prolificano pratiche come, per esempio, il car-sharing, ossia la condivisione tra più persone di un’auto per ridurre le spese e ottimizzare i tempi, il job-sharing, ossia una stessa prestazione di lavoro condivisa da più persone, o l’house-sharing, ossia la condivisione di spazi comuni all’interno dello stesso appartamento. Ora siamo arrivati al baby-sharing. Giusto per soddisfare il desiderio di avere un figlio e dividere spese e responsabilità con l’estraneo con cui lo si è concepito. Solitudine ed egoismo pare debbano essere i tratti distintivi della nuova famiglia alternativa del XXI secolo. E questo lo chiamano progresso.

 

Gianfranco Amato