Agnello a Pasqua!

Credo che nella storia repubblicana del nostro Paese non ci sia mai stata una figura istituzionale così rappresentativa del politically correct e della sottocultura nazionale come la Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini.

Costei riesce davvero a sublimare la quintessenza del radicalismo chic, politicamente correttissimo, che ha la pretesa di imporsi autoritariamente come Pensiero Unico. L’ultima trovata della nostra Laura è la battaglia ingaggiata per sottrarre gli agnellini dal desco pasquale.

E’ arrivata persino ad adottare ufficialmente, nel suo ruolo istituzionale di Presidente, due di quelle bestiole, e dichiarare quanto segue: «Si chiamano Gaia e Gioia le agnelline di due mesi che oggi sono venute a Montecitorio insieme all’Enpa, l’Ente nazionale protezione animali. Ho deciso di adottarle a distanza, un gesto utile a salvare la vita a questi animali. Per lo stesso motivo l’Enpa ha lanciato una petizione, che ha già raccolto 35mila firme, con la quale si chiede la fine della macellazione degli agnelli in occasione della Pasqua. Una pratica che nel 2016 ha portato al mattatoio ancora oltre due milioni di animali, anche se si registra una significativa riduzione rispetto agli anni precedenti. Ho voluto fare la mia parte in questa campagna di sensibilizzazione perché credo che il rispetto delle tradizioni non ci obbliga a uccidere altri esseri viventi».

La migliore risposta a questa idiozia l’ha data Fortunato Ladu, pastore sardo di Cagliari, il quale si è preso la briga di spiegare in una lettera indirizzata alla Boldrini che grazie agli agnellini che lei vorrebbe salvare, lui è riuscito a mantenere la sua famiglia e far studiare i figli. Un bello schiaffo morale per una che si reputa di “sinistra”.

Ma il problema è proprio questo, che oramai non esistono più principi, valori, ideali. Resta solo la melassa di un buonismo edulcorato e dissolto nei colori dell’arcobaleno. E l’unico orizzonte valoriale resta il potere. Non è un caso, per esempio, se la stessa Boldrini – che si picca di essere femminista – rifiuti di pronunciarsi contro la barbara pratica dell’utero in affitto, e prenda le distanze dai veri gruppi femministi che denunciano questo vergognoso sfruttamento della donna.

Del resto la Presidente della Camera non potrebbe mai, anche volendo, censurare quella pratica, visto che deve la poltrona proprio ad un tale che si chiama Nichi Vendola, suo padrino politico. Parafrasando il francese Enrico IV di Borbone, Laura avrà pensato che l’alto scranno di Montecitorio val ben una Messa. In quest’ultima intemerata sugli agnelli resta tutta la tristissima schizofrenia dei radical-chic, che difendono ad oltranza la vita degli animali, ma poi sopprimono un essere umano nel ventre della madre, o eliminano un bambino di nove anni con la “Kind Euthanasie” olandese, oppure uccidono l’anima di un adolescente, togliendogli l’identità, attraverso un’iniezione di Gonapeptyl.

Ma torniamo agli agnelli pasquali.

Pare che questa volta la dittatura del Pensiero Unico intenda fare sul serio. Ho letto che è stata lanciata persino una petizione al Sommo Pontefice, dal seguente tenore: «Santità, ogni anno sono 900.000 gli agnelli, le capre e le pecore costretti ad affrontare la morte nel periodo di Pasqua. Molti, importati dall’est Europa, vengono trasportati per lunghi tratti, senza sosta, senza cibo né acqua e per questo muoiono anche prima del tempo di stenti e di sete. Un agnello da latte viene separato dalla madre a pochi giorni di vita da persone indifferenti ai suoi continui richiami, i piccoli cercano inutilmente le madri che a loro volta belano senza sosta e cercano di superare le barriere alla ricerca dei loro piccoli. Un piccolo pesa all’incirca 7 Kg, mentre un adulto ne pesa all’incirca 35, quindi per soddisfare “la tradizione religiosa Pasquale” se ne uccidono 4 volte di più e li si priva di essere anche se solo per un attimo felici di giocare e stare con la propria mamma! Un Papa che ha deciso di chiamarsi Francesco I non può essere indifferente a tanto dolore e coerentemente alla dottrina di Francesco le chiediamo di dire apertamente un NO deciso allo sterminio pasquale degli agnelli da latte e indirizzare la propria voglia di religiosità alla preghiera ed alla pietà verso il prossimo, sia che abbia due che quattro zampe».

Non si comprende a quale Francesco si riferiscano i sottoscrittori della petizione. Se il richiamo fosse a San Francesco d’Assisi, allora avrebbero preso un grosso abbaglio. Contrariamente alla falsa immagine edulcorata, buonista, animalista e vegetariana che si tende a dare del Poverello d’Assisi, in realtà il vero Francesco era decisamente un carnivoro, a cui piaceva, in particolare, «la carne di porco».

Tommaso da Celano, biografo di Francesco, racconta nella “Vita prima” che il Santo quando veniva invitato da «grandi signori che lo veneravano con grande affetto», mangiava tranquillamente carne (411) in ossequio all’esortazione evangelica di consumare tutti i cibi che vengono presentati (Lc 10, 8). Ci racconta, pure, Tommaso da Celano che quando Francesco era infermo e debole, era solito mangiare carne di pollo (413). Nella “Vita Seconda”, il biografo francescano racconta, invece, il seguente aneddoto «Un giorno i frati discutevano assieme se rimaneva l’obbligo di non mangiare carne, dato che il Natale quell’anno cadeva in venerdì. Francesco rispose a frate Morico: “Tu pecchi, fratello, a chiamare venerdì il giorno in cui è nato per noi il Bambino. Voglio che in un giorno come questo anche i muri mangino carne, e se questo non è possibile, almeno ne siano spalmati all’esterno”».

Come si vede, tutt’altro che un ascetico vegetariano. Francesco, del resto, nella Regola obbliga per ben tre volte i suoi frati a mangiare carne: nel Capitolo III, n.12, 11 e n. 86, 14, e nel Capitolo IX, n. 36, 13.

Simpatico è anche l’episodio narrato nei Fioretti di Frate Ginepro, grazie al quale un uomo pentitosi per aver maltrattato i frati «piglia un porco et uccidelo, e, cotto, il porta con molta divozione e con grande pianto a Sancta Maria degli Angnoli, e diedelo mangiare a questi ’sancti frati, per la compassione della ingiuria loro decta e facta». E Francesco, di fronte al dono insperato di quel cibo, ottenuto indirettamente grazie a Fra’ Ginepro, esordì dicendo: «Fratelli miei, volesse Dio che di tali Ginepri io n’avessi una magna selva!». E sì, a Francesco la carne di porco non dispiaceva proprio.

L’immagine di San Francesco non carnivoro fa il paio con quell’altra scempiaggine di Gesù vegetariano, per smontare la quale è sufficiente citare i Vangeli. Quando, infatti, dopo la resurrezione, il Signore appare ai suoi, per dimostrare di non essere un fantasma non mangia un finocchio, una foglia di lattuga o una focaccia di ceci, ma carne di pesce arrosto. E quando Gesù risorto attende i discepoli sulla riva del lago di Tiberiade non mette sul fuoco una zuppa di verdure ma del pesce.

Del resto, da buon ebreo osservante della Legge e dei precetti mosaici, Gesù per tutta la sua vita fin dall’infanzia ha «mangiato la Pasqua», secondo le prescrizioni rituali. Per gli ebrei “pasqua” è sinonimo di “agnello”, e l’espressione «mangiare la Pasqua», tradotta in greco «φαγεῖν τὸ πάσχα» (Mt 26, 17), è una perifrasi semitica che significa mangiare l’agnello.

Il rituale ebraico nasce dal Capitolo 12 del Libro dell’Esodo: «Il Signore disse a Mosè e ad Aronne in terra d’Egitto: “Questo mese (Nisan) sarà per voi l’inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell’anno. Parlate a tutta la comunità di Israele e dite: Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa. Se la famiglia fosse troppo piccola per un agnello, si unirà al vicino, al più prossimo alla sua casa, secondo il numero delle persone; calcolerete come dovrà essere l’agnello, secondo quanto ciascuno può mangiarne. Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell’anno; potrete sceglierlo tra le pecore o tra le capre e lo serberete fino al quattordici di questo mese: allora tutta l’assemblea della comunità d’Israele lo immolerà al tramonto. Preso un po’ del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull’architrave delle case, nelle quali lo mangeranno. In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. Non lo mangerete crudo, né bollito nell’acqua, ma solo arrostito al fuoco con la testa, le gambe e le viscere. Non ne dovete far avanzare fino al mattino: quello che al mattino sarà avanzato lo brucerete nel fuoco».

Nella Pasqua cristiana Gesù diventa l’Agnello sacrificale. Il Vangelo di Giovanni e l’Apocalisse presentano Cristo come «l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo» (Gv 1, 29), al quale non viene spezzato «alcun osso» (Gv 19, 36), e l’«agnello immolato» (Ap 5,6). Anche Paolo quando dice che «Cristo nostra pasqua è stato immolato» (1 Cor 5,7) si riferisce all’Agnello pasquale.

Proprio la tradizione pasquale dell’agnello rappresenta uno degli importanti anelli di congiunzione tra giudaismo e cristianesimo, una di quelle radici giudaico-cristiane che l’Europa massonica e anticristiana del politicamente corretto ha deciso di rinnegare e recidere.

Mi ha sempre colpito la spiegazione che Origene di Alessandria, uno dei primi Padri della Chiesa, ha voluto dare sulle prescrizioni mosaiche del modo in cui mangiare l’agnello pasquale. Spiega, infatti, Origene nella sua opera Omelie sul Levitico che mangiare le carni dell’agnello, non crude o bollite nell’acqua, ma cotte al fuoco ha un significato particolare: «Se l’agnello è il Cristo, e Cristo è la Parola (Logos), quali le carni delle divine parole se non le divine Scritture?». Cosa vuol dire, allora, che le sacre Scritture non debbono essere mangiate «crude»? Significa che non bisogna fermarsi alla «lettera», perché, come dice San Paolo, «la lettera uccide» (2 Cor 3,6). Secondo Origene questo è proprio ciò che è capitato ai Giudei, i quali hanno preso «le parole crude, basandosi sul solo tenore letterale delle Scritture», cosa che non solo può «far male», ma rischia addirittura di procurare la morte spirituale. Che cosa significa, invece, per Origene che le carni dell’agnello non devono essere «cotte nell’acqua»? Significa che le parole delle sacre Scrittura non devono essere diluite, annacquate, facendo perdere la loro consistenza, ma devono essere «arrostite al fuoco», che è il fuoco dello Spirito. Scrive, infatti, Origene: «E se lo Spirito ci è dato da Dio, e Dio è fuoco divoratore (Dt 4, 34), anche lo Spirito è fuoco, sapendo la qual cosa l’Apostolo ci esorta ad essere ferventi nello Spirito (Rm 12, 11)». L’accostamento simbolico fuoco-Spirito porta Origene a questa conclusione: «Bene dunque è detto “fuoco” lo Spirito Santo: soltanto dopo averlo ricevuto dobbiamo accostarci alle carni di Cristo, voglio dire alle divine Scritture, perché, dopo averle cotte attraverso questo fuoco spirituale, le mangiamo arrostite al fuoco. Le parole saranno infatti trasformate da un tale fuoco, e noi vedremo la loro dolcezza e il loro potere nutritivo». E senza quel fuoco le parole sarebbero amare e indigeste. Proprio come l’agnello che mangiamo a Pasqua.

Riprese questo concetto il grande San Carlo Borromeo nell’omelia da lui tenuta nel Duomo di Milano il 9 giugno 1583, durante la Messa solenne per il Corpus Domini: «Nel Vecchio Testamento è narrata la nobilissima storia dell’agnello pasquale che doveva essere mangiato dentro casa da ogni famiglia; qualora poi ne fosse avanzato e non potesse essere consumato, lo si doveva bruciare nel fuoco. Quell’agnello era figura del nostro Agnello immacolato, Cristo Signore, da offrire per noi all’eterno Padre sull’altare della croce. Giovanni, il precursore, vedendolo disse: “Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo”. Quella meravigliosa prefigurazione ci ha insegnato che l’Agnello pasquale non poteva essere totalmente mangiato con i denti della contemplazione, ma doveva essere completamente bruciato nel fuoco dell’amore».

Ecco perché, quindi, a Pasqua mangerò anch’io la mia porzione di agnello con i denti della contemplazione e dopo averlo cotto nel fuoco dell’amore, in onore di San Carlo. E sceglierò un agnello che non sia d’importazione, per sostenere il duro lavoro dei circa quattro mila pastori terremotati che non hanno ancora abbandonato le aree colpite dal sisma di Lazio, Marche, Abruzzo e Umbria dove, solo nei 131 comuni del cratere, sono allevate 213 mila pecore e capre. Il terremoto, infatti, ha allontanato i turisti e ridotto le spedizioni verso le grandi città come Roma dove storicamente vengono acquistati agnelli del centro Italia di grande qualità.

Anche questa vicenda della Boldrini sugli agnelli pasquali mostra ancora una volta la distanza siderale tra le Istituzioni che sembrano vivere in un onirico mondo dorato, sempre più lontane dalla realtà, e i bisogni concreti delle persone che faticano a sopravvivere, con i loro molteplici problemi, nella dura lotta quotidiana. Occorre davvero un impegno politico per colmare questa distanza e riportare al centro dell’azione di governo le autentiche esigenze e le vere necessità della gente comune. Il Popolo della Famiglia avverte il dovere morale di un simile impegno.

Quest’anno io non aderirò alla campagna #Salvaunagnello  ma darò il mio convinto e risoluto sostegno alla campagna #SalvaUnPastore, perché rivendico con orgoglio le uniche vere radici identitarie del nostro popolo, quelle giudaico-cristiane, perché credo nella Tradizione e nei simboli, perché ho a cuore il destino dei poveri ovinicoltori in crisi, perché rigetto il buonismo animalista del politicamente corretto, perché non mi adeguo all’omologazione del Pensiero Unico, perché amo la carne d’agnello, perché non sopporto Laura Boldrini.

Gianfranco Amato