AGGRESSIONE ALGERINA

Stabilisce l’art.52 della nostra Costituzione che la difesa della Patria è un «sacro dovere». Sì, utilizza proprio l’aggettivo “sacro”. La Corte costituzionale ha specificato che la sacralità deriva dal fatto che siamo di fronte ad un «dovere collocato al di sopra di tutti gli altri e che nessuna legge potrebbe far venir meno», e che «proprio perché sacro (e quindi di ordine eminentemente morale) si collega intimamente e indissolubilmente all’appartenenza alla comunità nazionale identificata nella Repubblica italiana». È una questione di appartenenza e identità.

Pare che oggi questo senso della “sacralità” si stia sempre più affievolendo. E non mi riferisco solo alla questione dei porti chiusi e dell’invasione migratoria. Ci sono aspetti ancora più gravi.

Mi riferisco, per esempio, al fatto che l’Algeria si sia annessa unilateralmente una porzione di acque internazionali al confine con le acque territoriali italiane attraverso un’operazione che non ha precedenti sul piano internazionale. A lanciare la denuncia è Mauro Pili, leader del movimento sardo Unidos, che è in possesso del provvedimento con cui le istituzioni algerine hanno proceduto a questa spregiudicata aggressione. Si tratta di un’operazione che è emersa solo recentemente in ambito internazionale ma è stata praticamente tenuta segreta in Italia. Pili spiega come l’Algeria con un decreto del suo Presidente della Repubblica, Abdelaziz Bouteflika, si sia di fatto impossessata di tutte le acque a ridosso delle 12 miglia passando da Sant’Antioco, Carloforte, Portovesme, Oristano, Bosa e Alghero. Un corridoio che fiancheggia le acque territoriali sarde e sottrae a ridosso delle nostre coste l’uso comune delle acque internazionali su quel fronte di mare. La cosa sconcertante è che su questa operazione regni il silenzio più assoluto, nonostante il dossier sullo scippo sia riservatamente, e purtroppo tardivamente, arrivato sul tavolo dell’Onu.

Tra l’altro, spiga ancora Pili, le mire espansionistiche messe in atto con il decreto del Presidente della Repubblica algerina non riguardano ovviamente solo la pesca e l’acquacoltura o la generica valorizzazione e protezione del mare ma si spinge direttamente sul tema delle risorse energetiche. Gli algerini hanno deciso, infatti, di estendere da 40 a 180 miglia la propria zona economica esclusiva con un confine valido anche per il fondale. Quindi, a largo di Sant’ Antioco, Carloforte, Portovesme, Oristano, Bosa e Alghero, gli algerini non solo avranno l’esclusiva per la pesca ma anche quella per la ricerca e lo sfruttamento di risorse energetiche. Sul punto l’art. 3 del decreto firmato dal Presidente Abdelaziz Bouteglika è chiarissimo: «Nella zona economica esclusiva la Repubblica algerina democratica e popolare esercita i suoi diritti sovrani e la sua giurisdizione in conformità con le disposizioni della convenzione delle Nazioni Unite sulla legge del mare del 1972 e segnatamente la parte quinta».

E di fronte a tutto questo il governo italiano cosa fa? Come intende reagire rispetto a quella che può definirsi a tutti gli effetti una vera e propria aggressione economica, ambientale e giuridica alle acque internazionali di diretta pertinenza del nostro Paese. Ce lo dice il leader di Unidos: «L’Italia, come al solito, dorme e soltanto qualche settimana fa ha presentato una protesta formale alle Nazioni Unite. Nonostante il tentativo dell’Italia di porre rimedio a questa gravissima falla nel sistema della tutela dei confini a mare e delle acque internazionali, dall’ONU non è arrivata sino ad oggi nessuna risposta». Quindi? «Il rischio ora è che l’Italia – continua Pili ­– non avendo fatto tutti i passi necessari nei tempi dovuti, si ritrovi al limite delle proprie acque territoriali con uno spazio di acque internazionali di esclusiva pertinenza di un altro Stato, in questo caso l’Algeria».

Ma un governo che non svolga le funzioni elementari ed essenziali attribuitegli dalla Costituzione, come il «sacro dovere» di difendere i confini della Patria, è un governo che rischia di apparire illegittimo agli occhi dei cittadini. E questo a prescindere dal colore politico della coalizione che lo guida. Si tratterebbe di un governo “incostituzionale” nel senso etico-morale del termine.

Quello che davvero si fatica a comprendere, nell’attuale clima di delirio generale, è l’accusa di “sovranismo” lanciata contro tutti coloro che osino sollevare perplessità sulla gestione della difesa dei patri confini. Accusa che suona ancora più assurda quando a scagliarla sono alte personalità del mondo cattolico. E pensare che l’articolo 500 del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa attribuisce espressamente allo Stato il «diritto-dovere» il suolo patrio, anche attraverso il legittimo uso della forza quando necessario. Lo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica all’articolo 2130 sul punto è estremamente chiaro: «I pubblici poteri hanno il diritto e il dovere di imporre ai cittadini gli obblighi necessari alla difesa nazionale», precisando, inoltre, che tutto coloro i quali si dedicano a questo servizio «sono servitori della sicurezza e della libertà dei popoli», e «concorrono veramente al bene comune della nazione e al mantenimento della pace».

È triste, anche se segno dei tempi, dover constatare come questo prezioso Magistero venga sistematicamente dimenticato anche da altissimi esponenti della gerarchia ecclesiastica. E pensare che il grande San Tommaso d’Aquino legava la difesa della Patria addirittura al quarto comandamento della Legge divina («onora tuo padre e tua madre»), perché «quod pietas se extendit ad patriam». Secondo Tommaso, infatti, la pietas, che ha per oggetto comportamenti doverosi di onore e di rispetto, nonché di servizio e di sacrificio, ha per destinatari, dopo Dio, i genitori e la patria, «dai quali e nella quale siamo nati e siamo stati allevati».

Anche in questo senso il diritto-dovere di difendere il suolo patrio è “sacro”. E per una volta tanto la laicissima Costituzione della repubblica italiana coincide, almeno su un punto, con la preziosissima Summa Teologica del Doctor Angelicus. Il problema è che molti politici oggi al governo nel nostro Paese non hanno mai letto né l’una né l’altra.

 

Gianfranco Amato